Agony, videogioco sviluppato dal team indipendente polacco MadMind Studios per PC, Ps4 e Xbox One, è stato finanziato mediante Kickstarter riuscendo a raggiungere dopo un mese, a dicembre 2016 l’obiettivo economico prefissato, e alimentando per un anno e mezzo l’hype con trailer e video che mostravano reami infernali, demoni, sofferenze e perversioni. Finalmente Agony è stato pubblicato ed invero è riuscito a scontentare quasi tutti.

I problemi? Tecnico-grafici: un frame-rate basso ed una grafica poco varia e con numerosi bug per di più convertita nelle versioni per consolle in qualcosa di quasi ingiocabile/inguardabile. Gameplay: ripetitivo (prevalentemente costituito da puzzle per aprire portali ed accedere a zone ulteriori). Eppure si tratta di un titolo che, nonostante i difetti, riesce a far compiere un passo in avanti all’idea di videogioco come forma d’arte in grado di rappresentare e raccontare tematiche adulte. Se non lo avete ancora provato o non avete visto nessun video in rete, o ancor di più se già l’avete fatto ed avete cambiato velocemente canale, provate a pensare ad Agony come ad una versione infernale di Journey. Nel capolavoro di thatgamecompany il giocatore è messo di fronte ad un viaggio solitario verso la luce sulla cima di una lontana montagna.

Il viaggio, denso di riferimenti simbolici e non privo di pericoli, si svolge in solitudine, ma non per questo il giocatore si sente smarrito, anzi ogni pur enigmatico segno che si trova sul cammino lo fa sentire parte di un cosmo amorevole e materno. Potremmo dirlo un gioco sull’accettazione della morte alla fine del percorso della vita come passaggio ad un nuovo ciclo vitale. Se potessimo togliere ad Agony tutti i suoi difetti, probabilmente potremmo ribaltare tale giudizio ed affermare che si tratta di un abietto viaggio verso la consapevolezza dell’ineluttabilità del tormento infernale. Siamo infatti un’anima calata senza memoria negli inferi che ha di fronte a sé l’unico obiettivo di raggiungere la Dea Rossa per ottenere liberazione dalla condanna.

Dovremo far fronte alle oscenità sul nostro percorso (torture, uccisioni, violenze di ogni tipo dei demoni sui martiri ivi imprigionati), dovremo tramutarci in demoni stessi per raggiungere la meta. La Dea Rossa, che incarna lussuria e lascivia, ci chiama «Nimrod» e dice di aver plasmato quella parte delle lande infernali in nostro onore: una «torre di Babele» che scaleremo solo per ricadere per l’ennesima volta, immemori, nei bassi gironi infernali e riprendere da capo il viaggio.

Le pareti che paiono pertugi corporali, i martiri barbaramente impalati, i neonati con teste da vecchi usati come malta per costruire muri, la nudità dei demoni usata come rivoltante oscenità: tutto ciò ci circonda e ci soverchia. Possiamo portare una torcia a mitigare l’oscurità, ma la luce è un’illusione ingannevole perché – come ci ha insegnato Neil Gaiman – la speranza è il tormento più grande dell’inferno e la sua disillusione la punizione più terribile. Forse avrebbe giovato ad Agony l’essere un gioco più breve e piccolo, ma assai più curato in quel che aveva davvero da offrire e che ha tenuto in sospeso gli appassionati per oltre un anno: la perversione, l’oscenità, la brutalità dell’inferno. E invece è notizia recente dei guai finanziari di MadMind che ne hanno fatto cancellare la pubblicazione annunciata di una versione «Unrated» e che fa temere che la strada «artistica» di Agony finisca purtroppo qui.