Ipotizziamo cosa succederebbe oggi se si verificasse una situazione del genere: un padre affascinante e farfallone, un legame filiale profondo confuso totalizzante, una fidanzata quasi coetanea della figlia, una bella donna matura coetanea di pari livello intellettuale, un’estate di fuoco, in ogni senso. Quanto si può arrivare a spingersi per far andare le cose esattamente come si vuole che vadano, cosa si è pronto a mettere in gioco, quanta parte ha l’incoscienza nel muovere le fila dei personaggi come un burattinaio impazzito egoista e menefreghista? Cécile ha 18 anni, è bella come solo Jean Seberg può (ahi noi, poteva) essere – capelli alla maschietta su labbra sensuali, occhi accesi, neo vicino alla bocca da baciare – non comprende la forza della sua giovinezza, l’aspetto malsano, ego-riferito, l’impossibilità di venire a patti con le differenze. L’assenza di una figura femminile forte fa sbandare la vita attorcigliata di padre vedovo e figlia orfana, li lascia senza timone, senza centro, senza misura: i due gozzovigliano sulla Costa Azzurra, conquistano chiunque posi gli occhi su di loro, non si fermano davanti a nulla e a nessuno.

Nella (dolce) vita di Raymond è presente Elsa, una giovane anagraficamente a metà strada tra la figlia e l’uomo: un po’ fidanzata un po’ amica dell’adolescente, non riesce a ottenere niente di più che allegria a dismisura divertimento e champagne nei locali notturni. L’arrivo di Anna, migliore amica della moglie morta, modificherà equilibri, confonderà i ruoli, spodesterà la sudditanza nelle relazioni da triangolo a quadrilatero. E come in ogni dramma francese che si rispetti (Bonjour tristesse è, per prima cosa, nel 1954 il romanzo di esordio di Françoise Sagan, vincitore del Prix des Critiques, successivamente, nel 1958, viene trasposto magnificamente per il cinema da Otto Preminger) ci scappa il morto: un morto doveroso, da copione, urgente e inevitabile come un bicchiere d’acqua gelata sbattuto in faccia con disinvoltura da una scapestrata fanciulla in segno di rifiuto erotico all’ennesima avance, di fronte a mille occhi esterrefatti. Una storia datata ma quantomai moderna, attuale in ogni epoca alle prese con situazioni di delicatezza estrema come questa: crescere una figlia da parte di un uomo solo è sempre impresa ardua, di più ancora se la figlia possiede una bellezza accecante e se si ha l’aplomb da englishman rubacuori di David Niven. Quella vita dissoluta, senza regola, volta solo al soddisfacimento dei propri desideri è diventata per i giovani dell’epoca uno stile di vita.

Col tempo ci si è evoluti, è stata – in parte – repressa la forsennata ricerca della felicità a tutti i costi, ci si è affrancati dal benessere materiale elevando lo spirito a più alte aspettative ma, nonostante tutto, il moralismo ha trovato strade diverse, senza badare a chi lasciava ai lati del fiume come vittime di lusso: fascianti abiti da sera, macchine sportive, champagne a colazione. Oggi forse Anna correrebbe via per le tortuose strade della Côte d’Azur e riceverebbe un sms dell’uomo contenente una supplica di tornare, un ti amo gettato come esca, un ultimo tentativo di scelta. Forse l’incidente sarebbe causato da una distrazione, non solo dall’essere sopraffatta da un turbinio di sentimenti contrastanti: sarebbe solo un banale caso di cronaca come tanti. Oppure no: la figlia e l’amante giovane avvelenerebbero la vecchia che ha mandato all’aria i loro piani di bella vita, la farebbero fuori senza scrupolo come dark ladies contemporanee: una classica storia di ordinaria follia. Peccato che un film (e un libro) lo abbiano già fatto.

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