La tre giorni di Cosmopolitica non è lo sviluppo e tantomeno l’esito di quel lungo percorso che alla fine del 2015 aveva portato alla stesura comune di un documento, “Noi ci siamo, lanciamo la sfida”, il quale, nonostante le debolezze, era davvero unitario e non escludente.

Cosmopolitica, invece, ha come «vizio di origine» una considerazione meramente tattica di quel documento, valutato, secondo un atteggiamento politico tipico di «provincialismo temporale» (il manifesto, 5 gennaio), come scritto sull’acqua.

Alle origini della «rottura a freddo», così è stata definita, non casualmente, da esponenti de «L’altra Europa», cioè dell’unica esperienza davvero inclusiva che ha avuto risultati non negativi, ci sono motivazioni differenti. Molte hanno a che vedere proprio con la furbizia connessa a quel «provincialismo temporale» di cui si è detto e con l’eredità di una lunga vicenda particolarmente divisiva, apportatrice di velenosi rancori. Altre invece hanno che vedere con differenze profonde di carattere analitico.

Giustamente Carlo Galli in una recente intervista (il manifesto 17 febbraio) ha messo l’accento sull’esigenza di misurarsi con «gigantesche questioni strutturali», quelle del tutto ignorate da Renzi e dal renzismo dominante. Ignorate solo dal nuovo padrone del Pd o anche dai dirigenti che l’hanno preceduto? Questo è il punto.

Le forze promotrici di Cosmopolitica, cioè Sel e coloro che hanno lasciato il Pd, si sono davvero misurate, nel tempo, con le «gigantesche questioni strutturali» che hanno determinato il «momento attuale»?

Eppure la caratteristica principale del «momento attuale», cioè la forma neoliberista della nuova fase di accumulazione, non è il frutto della spontaneità delle «leggi» di mercato. È una forma, tanto di tecniche economico-finanziarie che di tecniche di governo, costruita, in tempi non brevi, essenzialmente da volontà politiche.

Tutte le tappe fondamentali di tale costruzione, in Italia, hanno avuto il contributo essenziale e convinto del Pds (già dal mutamento di paradigma analitico del 1992-94) e poi dei Ds ed infine del Pd. Renzi, «variante della commedia all’italiana…espressione di un comitato d’affari della borghesia toscana» (Prospero, il manifesto 23 febbraio), non è altro che la «rivelazione» di questo lungo processo. Al di fuori di quell’itinerario non è spiegabile la sua (ir)resistibile ascesa.

Ora nel 2013, quando tutte le forze che oggi sono presenti in Sinistra Italiana e promotrici di Cosmopolitica concordavano sulla Carta d’intenti del Patto dei democratici e dei progressisti presentata da Bersani come piattaforma politica per l’alleanza elettorale, che fine avevano fatto i pensieri sull’insieme problematico fondamentale indicato da Carlo Galli?

Non è elegante dire l’avevo detto, ma lo dico. Così scrivevo allora: «Se leggiamo la Carta d’intenti del Patto dei democratici e dei progressisti troviamo la conferma immediata di quali siano le forze «rassegnate a gestire depressi orizzonti». E non per il carattere volutamente «realistico» e «moderato del testo» (realismo e moderazione fanno parte della necessità politica), bensì perché l’impianto analitico sotteso al documento è l’esatto rovescio di qualsivoglia presupposto culturale che mantenga anche un timido legame con l’economia critica» (il manifesto, 18 gennaio 2013). Cioè con il pensare in termini di «grandiose questioni strutturali».

Non c’è niente di dottrinario nel ricercare una relazione (naturalmente con tutte le mediazioni opportune) tra il modo di pensare il rapporto economia-società e le scelte di politica economica. Senza una sostanziale condivisione dei punti cardine del pensiero economico dominante non sarebbero state possibili scelte tanto fondanti e tanto dirimenti come la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e l’accettazione del fiscal compact. Scelte tutte compiute prima delle elezioni del 2013.

Nessuna volontà di recriminazione nel ricordare un dato di fatto che ci fornisce elementi rilevanti per comprendere meglio ragioni non secondarie di una «rottura a freddo» e, dunque, dei «vizi d’origine» della pur importante iniziativa di Cosmopolitica.

Dobbiamo chiederci se sia possibile che l’esperienza del renzismo abbia potuto produrre in meno di due anni un rovesciamento degli strumenti di analisi sorrettivi della Carta d’intenti… È indubbio che la chiarezza della scelta di campo di Renzi abbia prodotto ripensamenti anche radicali, ma molto spesso limitati alla sfera del posizionamento politico. Magari, per alcuni, nella speranza che abbia a passare la nottata e spunti l’aurora di una nuova Carta… per un nuovo centrosinistra. Elementi che sono tutti presenti nel «vizio di origine» di cui si sta ragionando.

La tre giorni di Cosmopolitica, però, è stata una realtà molti più ricca e complessa per essere contenuta totalmente all’interno del quadro determinato da queste origini.

Moltissimi interventi, infatti, hanno posto davvero «gigantesche questioni strutturali». Per affrontarle a tutti i livelli, di pensiero e di azione, il quadro dovrà essere profondamente modificato.

Gli esiti non sono scontati, ma dalla tensione/contraddizione tra questi due modi di esercizio teorico e politico può forse determinarsi una costituente davvero inclusiva.