«Il decreto Valore Cultura, se non emendato, costituisce un attacco a due istituzioni, il Piccolo e la Scala, due eccellenze internazionali. Cosa ancora più grave in vista di Expo 2015». Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro di Milano, rilancia così le preoccupazioni già espresse dalla Regione Lombardia e dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia. «È difficile spiegare gli arzigogoli del cosiddetto decreto Valore Cultura – ha aggiunto Escobar – ma la sostanza è che il Piccolo, se non vengono accolti gli emendamenti, sarebbe trattato alla stregua di un ufficio anagrafe, impedendogli di fatto di continuare a essere virtuoso anche sul piano dei bilanci, da sempre in pareggio».

Per questi motivi il cda del Piccolo ha chiesto una convocazione straordinaria e urgente dell’assemblea dei soci: Regione Lombardia, Provincia, Comune e Camera di commercio di Milano. Il sindaco Pisapia ha definito «un disastro» il testo del decreto uscito dal Senato e ora al vaglio della Camera: «Forse il governo si è dimenticato che Milano nei prossimi due anni ospiterà appuntamenti fondamentali per l’intero Paese come Expo e il semestre di presidenza europea». Eppure, aggiunge Pisapia, «le criticità del decreto erano state segnalate, ma non vi è stato alcun riscontro». Cristina Cappellini, assessore alla cultura del Pirellone, adesso si aspetta «che tutti i parlamentari lombardi, a cominciare da quelli del Pd e del Pdl, escano dal silenzio: la battaglia non è ancora persa bisogna evitare un colpo mortale alla cultura milanese e lombarda».

Il nocciolo della questione risale alla spending review applicata agli enti culturali dal governo Monti che inseriva in uno stesso elenco Istat anche realtà come il Piccolo e la Scala limitandone la libertà di azione e di promozione anche attraverso accordi con i privati senza fare differenze tra chi ha bilanci «virtuosi» e gli altri. In pratica da una parte si tagliavano i fondi pubblici dall’altra si mettevano regole rigide che, a giudizio di Escobar e di altri, impediscono di andare a reperire fondi altrove. Il decreto del ministro della cultura Bray avrebbe dovuto risolvere il problema ma così non è stato. Ora tutto passa alla Camera ed è in corso la battaglia per ottenere un cambiamento all’ultimo momento. Sempre che ci sia ancora un governo.