C’è stato un momento in cui la famiglia come luogo di costrizione primario veniva messo in discussione: Roland Barthes insieme a quella dell’autore letterario invocava la morte del padre, Pier Paolo Pasolini insisteva su come l’importanza della famiglia fosse funzionale alla società dei consumi. Non è più quel tempo: la famiglia è prepotentemente protagonista delle narrazioni contemporanee.
Nel romanzo d’esordio di Nicoletta Verna, Il valore affettivo (pp. 294, euro 18) edito da Einaudi Stile Libero, che ha ottenuto una menzione speciale al premio Calvino 2020, la famiglia è tutto ed è l’abisso di Nietzsche.

Bianca, voce narrante, è una donna sulla soglia dei quarant’anni che vive la propria esistenza incastrata alla morte della sorella Stella, avvenuta quando lei aveva circa 8 anni. L’evento di cui Bianca si sente responsabile ha in effetti distrutto la sua famiglia d’origine, precipitando la madre in una depressione gravissima e spingendo il padre ad andarsene, dopo anni di disperazione. Entrambi i genitori, dopo la morte della primogenita, incarnazione della perfezione non solo dal punto di vista fisico, ma anche morale (Stella era bellissima, buona, sorridente, intraprendente), si dimenticano di avere un’altra figlia. Bianca cresce in una casa che non viene più pulita, vivendo una vita di cui non si interessa più nessuno e quindi neanche lei stessa.

COME STELLA, anche lei è benedetta da molte qualità: la bellezza, prima di tutto, la capacità di studiare e imparare cose complesse con estrema facilità, la determinazione. Le manca però ciò che più caratterizzava la sorella, vale a dire la gioia. La morte di Stella le ha precluso per sempre la possibilità di sperimentarla, perché Bianca dopo l’incidente ha smesso di provare emozioni o desiderio.
Pensando di fare felice sua madre, durante il liceo partecipa a un programma televisivoche nel romanzo si chiama «Balli & pupe». Lì si occupa di sorridere alla telecamera, del «cruciverbone» e di farsi cascare la spallina del reggiseno quando l’auditel è in caduta libera. Poi, si iscrive all’università ed è in questo frangente della sua vita che per la prima volta dopo anni prova speranza: uno dei suoi professori è una promessa della cardiochirurgia mondiale, è un uomo luminoso, impeccabile, bello. È l’equivalente di Stella, ma è vivo e Bianca può averlo con sé. Riuscirà infatti a farlo innamorare di lei, gli dedicherà la sua vita, con l’obiettivo di riprodurre attraverso l’incontro del loro «patrimonio genetico» l’antidoto alla morte della sorella.

Il romanzo di Nicoletta Verna è perfettamente strutturato, l’ambiguità della personaggia di Bianca, tra l’apparenza di moglie bellissima e devota e la verità della sua ossessione desertica, emerge in tutta la sua pesantezza. Il sintomo della sua nevrosi è la classificazione dei rifiuti di cui compila liste mentali lunghissime, che le danno consolazione nei momenti di calma, mentre quando un episodio la turba Bianca deve produrre rifiuti e poi diventare consapevole della loro esistenza maneggiandoli.

LA SINTESI di questa rappresentazione perfetta di una vita in assenza di qualsiasi forma di piacere, che allora è solo orrendo scarto, è in una considerazione sulla morte di Stella: «“la idealizzi. È normale – dice. C’è questa strana convinzione per cui chi se ne va è sempre migliore di chi resta”. Certo che chi se ne va è migliore di chi resta: abbandona ogni egoismo e smette di distruggere l’equilibrio instabile del pianeta producendo rifiuti».
Il valore affettivo è poi un romanzo sul rapporto tra la protagonista e sua madre o meglio sulla sua assenza: il desiderio di Bianca di trovare una soluzione alla morte di Stella, riproducendosi, è anche un dono a quella donna che invece si ricorda solo della sorella che non c’è più. È la storia di una bambina dimenticata, che si condanna a una vita di sofferenza, perché solo così pare ricordarsi di essere viva.