Piomba alle spalle della platea, come il peggiore degli incubi – dice, e innesca subito il mefistofelico congegno metateatrale. Elio Germano nei panni di un attore pieno di propositi risanatori si guadagna il consenso del pubblico a suon di battute divertenti. Le luci in sala restano accese e lui da bravo imbonitore coinvolge singolarmente gli spettatori, sconfiggendo titubanze e resistenze con sorrisi e sensate spiegazioni. Approda all’Ambra Jovinelli (fino al 31 marzo) La mia battaglia, sorta di happening che però non permette deragliamenti o improvvisazioni per correre dritto verso la spiazzante e catastrofico sorpresa.

CONOSCIUTO e apprezzato per tv e cinema (Palma d’oro a Cannes, tre David di Donatello, l’ultimo per Il giovane favoloso di Martone), sulla scena teatrale Germano arriva sempre con lavori piantati nella carne viva della sua persona. Gli arde dentro il bisogno di raccontare che lo fa rapper delle Bestierare, dai tempi del liceo, e frequentatore di centri sociali e spazi di libertà. Un anti-divo militante che una decina di anni fa scrive, insieme a Elena Vanni, Verona caput fasci – sarà casuale che questa città ospiti in questi giorni il gotha oscurantista mondiale di integralisti cattolici e falsi sostenitori della famiglia? – per denunciare il livore verbale degli amministratori comunali contro le diversità, cupo sottofondo alla morte di Nicola Tommasoli, massacrato di botte da un gruppo di fascisti. Le frasi pronunciate allora da quei politici tornano in quella costruzione drammaturgica, come ora nella Mia battaglia si riconoscono i proclami pestilenziali che traboccano da ogni medium, sovrastandoci.

SCRITTO a quattro mani con Chiara Lagani che di Discorsi con Fanny & Alexander ne ha partoriti per consegnarli all’istrionismo di Marco Cavalcoli, questo nuovo lavoro di Germano crea la differenza proprio per il diretto coinvolgimento del pubblico. Certo anche con Thom Pain di Will Eno, Germano si rivolgeva agli spettatori, ma solo per condividere il suo stato d’animo, mentre qui il gioco si fa manipolatore e risveglia il mostro. Con un impasto retorico ecologista, solidarista, nazionalista, socialista… l’attore dapprima pone domande e attende le risposte, per poi virare in un spaventoso autoritarismo. Un esperimento linguistico in sessanta minuti per dimostrare come il crescendo del fraseggio populista possa assurgere a pensiero condiviso, fino allo sprofondamento culturale e al baratro.