Esce anche nell’edizione italiana, per la traduzione di Michele Sampaolo e la curatela, con relativi aggiornamenti e integrazioni, di Anna Foa, il volume collettaneo a cura di Pierre Savy dedicato alla Storia mondiale degli ebrei (Laterza, pp. 485, euro 28). Si tratta di un’opera complessa, stratificata, poliedrica, composta di una novantina di grandi voci (da «1207 a.C., un ingresso drammatico nella storia: la stele di Merenptah» a «2006, proclamazione della Giornata europea della memoria»), strutturate come saggi dotati di una loro autonomia. L’ambizione è di disegnare, attraverso l’accostamento di date significative a eventi dirimenti o protagonisti importanti, il senso della storia ebraica così come della storia degli ebrei. Non necessariamente soffermandosi sui passaggi più noti o prevedibili.

LA STORIA EBRAICA, per intendersi, è costituita dalla forma espressiva, dalla dimensione narrativa e dall’impianto intellettuale con i quali, nel corso del tempo, l’ebraismo ha raccontato se stesso. La storia degli ebrei, invece, demanda al succedersi delle interpretazioni di volta in volta adottate e diffuse per descrivere, comprendere e interpretare la presenza ebraica in società costituite perlopiù da non ebrei. Le scansioni cronologiche contenute nel volume, oltre a restituire al lettore la percezione dello scorrimento del tempo, si incrociano con la spazialità, tema fondamentale nell’ebraismo. Poiché quest’ultimo si alimenta del rapporto con i luoghi della dispersione diasporica, concorrendo a costituire veri e propri micro-habitat che interagiscono poi con la società circostante.

Se si fa storia degli ebrei e dell’ebraismo il tema di fondo rimanda ai modi con i quali si racconta la traiettoria esistenziale, nel corso di intere epoche storiche, di un gruppo che ha al medesimo tempo coltivato, preservato ma anche radicalmente mutato le proprie matrici di riferimento. La questione di fondo al riguardo, rilanciata anche in tempi recenti in campo non ebraico, è quella della «identità». Il libro, da questo punto di vista, contribuisce a smentire il paradigma astorico che vorrebbe gli ebrei (e di riflesso l’ebraismo medesimo) come titolari di una sorta di essenza culturale immutabile, destinata quindi a ripetersi nel tempo. La pervicacia di una tale minoranza, infatti, non è mai quella di essere al di sopra della storia bensì di essere nella storia. Quanto ne deriva da un tale processo di storicizzazione è quindi ciò che conosciamo come «ebraismo».

IL VOLUME a cura di Savy ci dà essenzialmente conto di tutto ciò. E di altro ancora. Trattandosi anche di un testo di storia culturale, laddove non poche voci definiscono gli effetti di eventi esogeni sulle comunità ebraiche dell’epoca. Importanti anche i rimandi a personaggi e protagonisti della storia ebraica, a partire dalle donne, dei quali il lettore italiano molto spesso sa poco se non nulla. Da questo punto di vista, il volume ci restituisce il senso della complessità della storia umana, la quale si alimenta sempre e comunque di discontinuità. La storia degli ebrei è essenzialmente il racconto di queste fratture, rese successivamente come periodizzazioni significative, tali in quanto capaci di rendere conto del senso di un più generale scorrimento. Ossia, del modo in cui l’umanità ha vissuto se stessa, per poi rielaborarsi dentro un quadro dove le intermittenze prevalgono sulle prevedibilità.

IN ALTRE PAROLE, ragionare e parlare degli ebrei, una minoranza «densa», può servire soprattutto a capire come i non ebrei, le maggioranze, si siano raccontati. Nel passato così come in tempi a noi più prossimi. L’effetto di rispecchiamento è infatti dietro l’angolo. Il volume, frutto non solo della redazione francese ma anche di un lavoro di integrazione compiuto da diversi studiosi italiani (una quindicina, alcuni di essi tra i più noti nella comunità scientifica), si basa su un’organizzazione interna articolata in una pluralità di voci strutturate come altrettante cesure logiche e cronologiche. Un tale sistema analitico facilita di molto la comprensione dei temi trattati. Se ne possono infatti leggere alcune senza necessariamente soffermarsi sulle altre. Ciò facendo, ci si incarica anche di evitare una lettura circolare della storia degli ebrei, per la quale quel che avviene ad oggi sarebbe la realizzazione di quanto era premesso già nel passato.

Il fuoco del testo è costituito semmai dal rapporto tra necessità e realtà, tra bisogno e suo soddisfacimento, tra identità e mutamento, tra comunità e individualità. Così come tra la dimensione soggettiva di alcuni protagonisti biografati e la cornice intersoggettiva dei grandi gruppi che vi sono descritti. In questa storia mondiale il trauma che si lega alle cesure della storia si mitiga dinanzi alla capacità di resilienza che l’ebraismo ha mostrato nel corso del tempo, non rimanendo risucchiato, e quindi neutralizzato, dalle fratture storiche che lo hanno comunque visto soggetto.

IL TESTO, a tale riguardo, coniuga le date più abituali della storia collettiva «insieme anche ad altre meno scontate e addirittura quasi sconosciute, che permettono di presentare interi squarci della storia ebraica o alcuni suoi momenti significativi». L’opera è quindi articolata in tre parti («Il Tempio e l’Esilio»; «Persecuzioni e radicamento dal Medioevo all’emancipazione»; «Emancipazioni e disastri dal 1791 ai giorni nostri»), suddivise a loro volta in una novantina di macro-voci, che vanno dal 1200 ante era volgare ad oggi. Inutile tuttavia cercarvi un repertorio enciclopedico, così come un repertorio cronologico. Poiché la selettività di temi è parte integrante, e non secondaria, dell’opera. Semmai il focus è dato dalla costruzione di un’articolata intelaiatura che cerca di mettere in comunicazione ebrei ed ebraismo con storia globale. Fondamentale, quindi, è comprendere l’impegno dei diversi autori nel porre in relazione la mutevole specificità ebraica – di cui se ne dà resoconto attraverso eventi, personalità, situazioni peculiari – con i tempi storici di riferimento.

Un’indiscutibile difficoltà, sottolineata da Pierre Savy, è quella di mettere a fuoco, senza equivoci, quale sia il vero soggetto di una biografia collettiva. Parlare di popolo ebraico, di Ebrei (intesi come comunità) e di ebrei (come appartenenti ad una confessione), infatti, non è sempre la medesima cosa. Se i termini possono risultare facilmente intercambiabili dal punto di vista del linguaggio di senso comune, su un piano più rigorosamente analitico non può dirsi lo stesso. Poiché è la nozione medesima di «popolo», di per sé irrinunciabile, a non riuscire a raccogliere l’estrema eterogeneità delle esperienze ebraiche nel corso di tremila anni di storia. «L’esperienza ebraica possiede un contenuto e una certa continuità che consistono nel fatto stesso che questo popolo pensa di perdurare – tramite costruzioni culturali, e magari anche miti».

Esiste una coscienza di sé che si perpetua nel tempo come anche, secondo Savy, «l’inserimento in una temporalità teologica comune. Si tratta, prima ancora della storia degli storici, della elezione (divina), della promessa di una terra , della conquista di questa terra, poi della dispersione e dell’esilio», elementi concatenati nello stabilire una linea di continuità ideale che si rinnova nel tempo.

IL TRACCIATO sottointeso è quello della teologia politica: al vaglio della nostra contemporaneità, l’esperienza ebraica della storia si presenta come il campo dove tanto più intense sono le contaminazioni tra simbolismi e mitografie quanto maggiore è la loro capacità di trasfondersi nell’azione politica generando coesione sociale e reciprocità civile.
Anche per queste ragioni, quindi, il volume si presta a letture tra di loro differenziate, ovvero basate sulla possibilità di scorrere le sue pagine non solo dalla prima all’ultima ma anche in senso opposto, partendo quindi dal presente per meglio ricostruire il significato del passato ebraico.