La città di Roma visse nei primi anni del Novecento una delle sue stagioni probabilmente più felici. Nel periodo compreso tra il 1907 e il 1913 la capitale del Regno conobbe cioè, grazie all’attività riformatrice del sindaco Nathan e della sua Giunta, una radicale trasformazione: un energico mutamento posto in essere da quel primo cittadino che, oltre a intervenire con successo in vari ambiti, elaborò un modello amministrativo assai efficiente ma rimasto, in seguito, sostanzialmente ignorato; come, del resto, risulta oggi ben poco nota la vicenda del suo governo municipale.

IL LUCIDO E CIRCOSTANZIATO saggio di Fabio Martini, notista politico de La Stampa nonché docente universitario, dal titolo Nathan e l’invenzione di Roma. Il sindaco che cambiò la Città eterna (Marsilio, pp. 283, euro 18,00), giunge dunque a proposito: l’autore vi prende in esame tanto il contesto politico nazionale e locale in cui «il sindaco straniero» – affiancato dai suoi collaboratori – si trovò a operare quanto le numerose iniziative che egli intraprese e portò a compimento nel corso di quegli anni. Lo studioso riesce così a delinearne efficacemente la figura di amministratore illuminato, la cui azione appare ancora in grado di fornire più di un suggerimento capace di rivelarsi proficuo. Ma procediamo con ordine.

Ernesto Nathan (Londra 1845 – Roma 1921) era diventato sindaco della capitale, nel novembre del 1907, grazie al sostegno di una coalizione formata da liberali, repubblicani, radicali e socialisti. Aveva l’aria di un signore cosmopolita, ormai sessantaduenne, del quale non si sapeva molto. Ne erano però note le origini ebraiche, le salde convinzioni anticlericali, le spiccate simpatie repubblicane; incline al pragmatismo, risultava inoltre estraneo a quel ceto di proprietari terrieri che aveva governato la città fino ad allora.

NON ERA PERÒ ISCRITTO ad alcun partito e occorre sottolineare come si fosse presentato agli elettori forte di un atteggiamento antidemagogico: aveva cioè affermato di essere disposto ad «accettare, non a cercare suffragi». Il suo dichiarato intento era fare di Roma una città più civile e moderna, in grado di costituire un esempio per gli altri municipi italiani. Nel periodo in cui amministrò la Città eterna, la Giunta Nathan lottò contro i monopoli e le rendite, cercò di migliorare l’efficienza e la competitività dei servizi pubblici, rimosse gli amministratori incompetenti, rivendicò il primato della politica sullo strapotere della burocrazia capitolina.

Si trattò inoltre di una coalizione che promosse il rispetto delle regole, sostenne la scuola laica ed estesa a tutti, incoraggiò i cittadini a pronunciarsi sulle deliberazioni del Consiglio comunale, si avvalse del contributo di intellettuali del calibro di Maria Montessori e del giovane Marcello Piacentini.

SCELTE CHE EBBERO il proprio fondamento comune in un principio: a decidere doveva essere il potere legittimato dal voto popolare, capace poi di avvalersi dell’opera di tecnici animati da una profonda passione politica e da un sincero interesse per le sorti della cosa pubblica.

Un modello innovativo, le cui realizzazioni balzano all’occhio per qualità e quantità. Scrive in proposito Martini: «Al termine di quei sei anni migliaia di romani non abitano più in squallidi rifugi e conoscono il miracolo di avere acqua e gas nelle proprie abitazioni, a costi più bassi. Anche il tram costa meno, arriva in periferia ed è meno affollato; migliaia di bambini entrano per la prima volta in una scuola pubblica. C’è il disegno di una città a misura d’uomo e sottratta alla legge del più ricco. C’è la lezione delle aziende pubbliche, capaci di fare concorrenza ai privati con le armi della tecnologia e dell’efficienza».

Poi, nel dicembre del 1913, Nathan sarà costretto a lasciare il Campidoglio a causa dei mutati equilibri politici nazionali, visto che i liberali avevano optato per l’alleanza con i nazionalisti e i cattolici conservatori. Il cosiddetto «Patto Gentiloni» avrebbe dunque annoverato tra le proprie vittime anche lui, la sua coalizione, la sua estraneità nei confronti dei vari gruppi di potere e dei loro interessi.