Passano i giorni e mi dicono che non posso più uscire. Me lo dice il benemerito GG, pneumologo di fama affermata: per curare la polmonite ci vogliono quattro settimane, ce ne volevano quattro nel Medioevo, ce ne volevano quattro nel Novecento, ce ne vogliono quattro oggi, ce ne vorranno quattro tra cent’anni: quattro settimane di terapie, di cura, di riposo pressoché assoluto. Vado in crisi per le cose a cui dovrò rinunciare, ma presto rinuncio a lottare e mi denudo due volte al dì la natica per la puntura di antibiotico intramuscolo.
Venerdì va in stampa finalmente la prima delle mie interviste della serie Io e te. Ricevo via sms, telefonate, su Facebook, complimenti e sollecitazioni, vado in brodo di giuggiole (dal letto). E ora? Come farò a proseguire la serie se non posso mettere piede fuori di casa?
La De Lillo – come viene chiamata in ambiente cinematografaro – la conosco da tre o quattro anni tramite amicizie comuni: la stimo come professionista e come donna, siamo due pescioline. La prima volta che l’ho vista mi colpì scoprire che non fuma mai prima delle 19. Un vezzo che le limita il vizio. Quando, quel giorno, alla fine arrivarono le sette e lei si accese con gusto la prima sigaretta della giornata, i miei occhi non riuscivano a staccarsi dall’ultima falange del mignolo della sua mano destra, piegata verso l’interno come a dire sì al palmo. Anche il sinistro è orientato così, entroverso verso l’anulare. Un fenomeno curioso e ipnotizzante.
Antonietta viene a trovarmi. Di primo acchito a vedermi qui, nel mio regno malaticcio, si spaventa, mi chiede l’emocromo, mi trova pallida e emaciata. Poi, dopo aver studiato a fondo le mie analisi, si abitua alla situazione e cominciamo a parlare.

Sei mai stata invidiosa?

Assolutamente sì, l’invidia purtroppo fa parte dell’individuo. È un sentimento che ci fa vergogna e che quindi cerchiamo di affossare… Sempre gli altri sono invidiosi, mai noi. Invece secondo me l’unico modo di tenerlo a bada, viverselo in maniera meno mortificante, è quello di esplicitarla, trasformarla in qualcosa che condividi con altri. Invidio la sua gioventù, la sua bellezza, il suo canto, la sua bravura. Il solo fatto che lo dici, lo condivi un po’ lo fa svanire. L’invidia purtroppo fa parte di noi e poi ce ne dobbiamo vergognare, più ce ne vergogniamo, più la reprimiamo e più può diventare un sentimento shakespeariano, da tragedia, brutto, brutto, meglio confessarlo. Noi nasciamo cattivi, nasciamo invidiosi anche, nasciamo completi. Io ho due figlie, glielo dico sempre, buoni non si nasce si diventa.

Cosa ti provoca? Che effetto produce sul tuo corpo? Ha degli effetti secondari? 

La rabbia o l’antipatia conosco l’idea di covarle dentro, ma pochissimo perché io non mi tengo niente in corpo… l’invidia istintivamente la caccio fuori, non mi ha mai procurato fastidio fisico, apprensione.

Hai mai sentito l’invidia pesare su di te? È una sensazione piacevole o spiacevole? Produce un senso di riscatto dall’averla provata a propria volta?

Sento di essere una para invidia, tipo parafulmini, questo sin da piccola, forse perché me le tiro, non so… Nelle relazioni mi lancio molto, obiettivamente nella vita sono stata abbastanza fortunata, sono stata una ragazzina, una donna, una giovane donna non particolarmente sacrificata, insomma ho avuto un sacco di fortune nella vita… Ma soprattutto il mio modo di fare, me ne attribuisco delle responsabilità, forse è quel fatto che non mi tengo niente in corpo, sono sempre molto diretta…

Come la affronti? 

Mi sono sempre intimorita, penso che poi gli brutti sguardi – ora con la vecchiaia lo penso molto di meno – che le energie storte fanno male a chi le spruzza ma fanno male anche a chi le riceve, sicuramente. Oggi invece, da pochissimo, e non sono neanche sicura che sia vero, riesco ad avere un parabordi, un para invidia, e quindi a farmi colpire di meno. Però penso di essere stata una grande vittima dell’invidia altrui.

Ti si può rivoltare contro?

Scagliare l’invidia è insopportabile, o lo fai in maniera esplicita, o lo fai subito, come una brutta caramella, tipo una mandorla amara, se invece te la tieni nel corpo quando poi la indirizzi verso l’oggetto o la persona che ti muove questo sentimento è come una freccia di Cupido al contrario.

Ti faccio una citazione provocatoria, di Gore Vidal, che dice: «Ogni volta che un amico ha successo una piccola parte di me muore».

No. Io mi sento parte del successo. Se tu hai successo io voglio stare a fare capolino in una parte di fotogramma e dire «è amica mia», godo del tuo successo e un po’ me ne attribuisco, a torto o a ragione, per il solo fatto che ci conosciamo.

Secondo te, l’invidia muove il mondo? 

No, l’invidia distrugge il mondo, di questo son sicura. Per questo dico che è un sentimento che innanzitutto fa vergogna a chi lo sente, a noi esseri umani che lo sentiamo, è proprio un sentimento scabroso. Credo che l’invidia abbia distrutto i mondi, le famiglie, non ha nulla di costruttivo, nemmeno la preparazione di una crostata mossa dall’invidia può venire una cosa fatta bene. Detto questo è potente, può accendere fuochi, fare danni fortissimi alle persone, vittime della invidia altrui… Però alla fine sono sempre dell’idea delle favole che vince la bontà, è più potente la bontà, bisogna essere più figli di buona donna per praticarla, è un’arma molto più raffinata…
Mentre Antonietta prende le sue cose prima di andare via non so perché mi viene naturale di parlarle del suo segno di riconoscimento. Che mi confessa derivarle dal padre, difetto genetico che diventa prezioso legame con il proprio genitore. Punto di forza o punto dolente? Né l’uno né l’altro e entrambe le cose insieme. Come quando nell’adolescenza, Fulvia, la migliore amica dalla scuola materna, per chissà quale vendetta tra ragazzine, le disse: «tu che hai il dito storto» con la crudeltà di cui è capace solo chi ti conosce più di chiunque altro. Stasera in veste di intervistatrice, oltre che di collega e amica, arrivo alla conclusione che quel piccolo elemento torto sia il quid che Antonietta ha di diverso dagli altri e che, in un modo o in un altro, l’ha resa oggetto dell’invidia altrui. Sono le sei e qualcosa. Il sole è da poco tramontato. Non fumeremo insieme. Io non posso. Lei non può ancora, per mezz’ora circa.