Chi cerca instancabilmente un orientamento che consenta di attraversare il caos contemporaneo, farebbe bene a fermarsi e a calibrare i propri strumenti di navigazione. Al confine tra il microcosmo degli affetti quotidiani e il macrocosmo della situazione planetaria (politica ed ecologica) troviamo un luogo che la nostra consapevolezza può abitare. Lo dimostrano, in un libro uscito per l’Editore Claudiana, un professore di psicologia e un analista filosofo: Gordon Cappelletty e Romano Màdera. Il loro lavoro si intitola Il caos del mondo e il caos degli affetti (pp. 225, euro 24) e ci costringe a fare i conti con lo spaesamento che attanaglia gli umani ipermoderni alle prese con la crisi radicale del paradigma occidentale, quello incentrato su una visione del mondo che ruota attorno alle leggi astratte dell’economia di mercato e della tecnica. Cappelletty ci offre un saggio corposo che esplora il concetto di crisi, abbozzando il profilo di una teoria generale che renda conto di questa esperienza umana non solo inevitabile, ma anche necessaria.

IL CONTRIBUTO di Cappelletty rimarca l’importanza di riconoscere alla crisi una funzione evolutiva nella vita personale e collettiva, poiché essa invita i soggetti individuali e sociali a ridefinire la loro identità riorganizzando il modo di percepire la realtà e di affrontarla eticamente. Il valore della crisi sarebbe, in quest’ottica, quello di stimolare una conversione dello sguardo e della pratica, dunque un riposizionamento esistenziale vero e proprio. Nulla che si possa ridurre a un elenco di tecniche per l’auto aiuto, in quanto «la vera risoluzione di una crisi esistenziale si traduce in una ridefinizione di chi e di che cosa si è, e questo deve essere necessariamente personale e intimo». Non ci sono, quindi, ricette uguali per tutti, così come non esistono due persone identiche a questo mondo. Eppure un’indicazione valida per ciascuno Cappelletty la fornisce quando – dopo aver discusso gli aspetti biologici, psicologici e sociali della crisi – si sofferma sul nodo cruciale della spiritualità.

Chiunque soffra di una perdita di sicurezza nella propria vita, abbisogna di un orientamento di fondo capace di tenere la rotta nei momenti più difficili. Non basta quindi, per curare la vita, una retorica della padronanza e dell’efficacia: ciò che cura è sempre e solo il «senso». Un senso che si articola sulla soglia di passaggi evolutivi universali (infanzia, adolescenza, adultità, vecchiaia, fine vita), i quali richiedono di non essere mai scollegati dalla vita culturale nel suo insieme e dall’orizzonte trascendentale delle domande ultime. Lo sa bene Romano Màdera che, nel suo saggio denso e dedicato in particolare alle vicende erratiche dell’amore nel nostro tempo, porta l’attenzione di chi legge sul caos determinato dalle contraddizioni della cosiddetta civiltà dell’accumulazione economica. Gli effetti del capitalismo globale, giunto alla sua fase neoliberista che si nutre dello scatenamento metodico delle voglie e delle pulsioni appropriative individuali, incidono nella carne viva delle relazioni umane, infrangendo i nostri incerti quadri identitari e rendendo apparentemente incomponibili i bisogni umani di libertà e legame.

LA CRISI IRREVERSIBILE dell’ordinamento simbolico patriarcale destina la sessualità e il sentimento a un processo di dispersione epocale. Siamo allora perduti? In questo confuso passaggio della storia dell’umanità (quella occidentale in primis) sembra comunque costellarsi, come suggerisce Màdera, un mito emergente, perfetto per l’interregno che ci troviamo ad abitare: quello del Chaosmos. Oltre il disordine, e ponendoci in un rapporto creativo con esso (ricordiamo qui la famosa stella danzante nietzschiana annunciata profeticamente e ancora non pervenuta), possiamo riattualizzare il senso ultimo e primo insito nel gesto originario della filosofia occidentale, quella passione per la ricerca che orienta la vita verso un Bene mai dato in partenza, ma sempre da costruire come riflesso dell’apertura originaria della cultura a «immaginare altrimenti» e a generare il possibile. Allora entrambi gli autori ci sfidano laicamente a pensare la salvezza dentro la crisi, come spinta a non cedere al nichilismo e ai dogmi che vorrebbero arginarlo, per coltivare piuttosto – nelle vicende affettive e in quelle storico-politiche – «una concertazione delle forme d’amore in una biografia individuale, vissuta nello spazio e nello spirito di una capacità espansiva della solidarietà con gli altri e con il mondo».