C’è un’immagine che spiega l’intreccio tra politica, sport e business, così come la mania per il calcio scoppiata da poco più di un anno e mezzo nella Repubblica popolare cinese. È il selfie scattato da Sergio Aguero, «el Kun», attaccante argentino del Manchester City accanto al presidente Xi Jinping, più defilato, al dimissionario premier britannico David Cameron (all’epoca della foto ancora in carica). Benché tifoso dell’altra sponda di Manchester, quella dello United, lo scorso ottobre il capo di Stato cinese preferì all’Old Trafford una visita all’Ethiad Stadium anche in nome dei buoni rapporti con il patron emeritino del City, Sheikh Mansour. Trascorsi poco meno di due mesi quell’autoscatto si è concretizzato nella cessione del 13% del club inglese alla cordata composta da China Media Capital Holding e Citic Capital Holding per un controvalore di 354 milioni di euro.

Calcio e politica
«I gruppi cinesi puntano sulle squadre europee e guardano all’ambizioso piano governativo di fare del Paese una potenza calcistica», riassume il settimanale economico-finanziario Caixin. Il primo tifoso è proprio Xi e dall’ottobre 2014 sono stati varati almeno un paio di piani per il rilancio del pallone nel Paese di mezzo. Ecco perché da gennaio del 2015 gli imprenditori d’oltre Muraglia hanno messo nel mirino club italiani, inglesi, spagnoli, francesi e di altri Paesi.

Squadre più o meno blasonate, poco importa. Nelle scorse settimane la Suning di Zhang Jidong, una sorta di Trony dalle dimensioni cinesi che in patria possiede il Jiangsu, ha acquisito la quota di maggioranza dell’Inter, con un investimento complessivo per 370 milioni di euro. E cinese è ormai anche l’altra sponda del calcio meneghino, il Milan, pronto a passare entro la fine anno a una cordata cinese che raccoglierebbe diverse aziende, compresa Haixia Capital, fondo di Stato per lo sviluppo e gli investimenti. La notizia diffusa venerdì 6 agosto sarebbe stata confermata dalla stessa dirigenza milanista.

Si chiuderebbe così la trentennale presidenza di Silvio Berlusconi. Di questo filone fa parte anche l’interesse del fondo Winston per la Bari. Mentre sempre in Lombardia si sta consumando lo psicodramma dei tifosi del Pavia. L’arrivo di Zhu Xiaodong, titolare del fondo Pingy Shanghai Investment, aveva alimentato i sogni di Serie A. La realtà è invece di una corsa all’ultimo minuto per riuscire a trovare i soldi per iscriversi alla Lega Pro, anche perché dalla dirigenza cinese di capitali non se ne sono visti.

Non solo Italia
Se dall’Italia si guarda agli altri campionati del Vecchio continente si registrano investimenti cinesi nel Den Haag, il club dell’Aja.

Nell’Espanyol, seconda squadra di Barcellona su cui ha puntato il Rastar Group; nello Slavia Praga e nell’Aston Villa, nobile decaduta del campionato inglese retrocessa quest’anno in Championship League, che affida le speranze di rilancio ai capitali di Tony Xia Jiantong e del suo Recon group.

Buoni ultimi in Francia, Chien Lee e Zheng Nanyan, della catena di hotel 7 Days, sono entrati nel capitale dell’Olympique Nice.

Non che prima di Xi Jinping il calcio non godesse d’attenzione. In taxi per le vie di Pechino o Shanghai non era difficile sentirsi fare domande su Francesco Totti, Paolo Maldini, oppure Roberto Baggio, la cui biografia stava in bella mostra sugli scaffali delle librerie accanto a quelle di Pelè e di Diego Armando Maradona.
Né era inusuale trovare sulla Cctv oppure sul canale sportivo della Beijing Tv incontri della Serie A. Non soltanto partite di cartello come Juve-Milan, ma addirittura incontri più di nicchia come Empoli-Cagliari.

La passione, per gli affari
Si parla degli anni tra il 2005 e il 2007. All’epoca il pallone scontava tuttavia la concorrenza del basket, trainato dalle prestazioni in Nba del gigante Yao Ming, futuro portabandiera della Cina nelle Olimpiadi casalinghe del 2008.

I tempi cambiano. Il cestista è alle prese con un confronto serrato con la federazione pallacanestro locale per riformare il sistema e renderlo più ricco e profittevole sul modello Usa.

Di recente comunque la conglomerata Wanda del miliardario Wang Jianlin ha in pratica messo le mani sul basket mondiale firmando un contratto al 2033 per promuovere le manifestazioni della Fiba, la federazione mondiale, compresi i mondiali maschili del 2019 che guarda caso si svolgeranno proprio in Cina. Wanda è anche il colosso che oltre a essersi messa in portafoglio il 20% dell’Atletico Madrid (prima incursione cinese di un certo livello nel calcio europeo) è proprietaria in Infront, società specializzata nel valorizzare marchi e diritti televisivi.

E in questa veste è diventata uno dei principali sponsor della Fifa. Non è quindi peregrino ipotizzare che la Cina possa raggiungere uno dei traguardi prefissati nella scalata al calcio globale, ospitare un edizione della Coppa del Mondo.

Né è escluso che nel 2019 proprio nella Repubblica popolare possa tenersi il Mondiale per club. O almeno così sperano a Shanghai, con l’annuncio della costruzione di un nuovo mega impianto da 50mila posti, il Pudong Soccer Stadium.

Per gli analisti della banca Hsbc niente come il calcio ridà l’immagine delle trasformazioni dell’economia cinese verso una crescita basata sui consumi e di come la ricchezza e i gusti della classe media stiano avendo influenza a livello globale.

Il pallone diventa quindi una dei nuovi canali di connessione tra la Cina e il mondo.

L’ultima campagna acquisti per la China Super League ha fatto concorrenza alla Premier.

Gli uomini d’affari trovano nel calcio uno sbocco collaterale per soddisfare i nuovi bisogni del cinese medio e la sua voglia di intrattenimento e divertimento.
Il pallone in qualche modo diventa parte del Zhonguo meng, il sogno cinese teorizzato da Xi, ossia il ritorno in grande della Cina sullo scenario globale, presentandosi come superpotenza.

D’altra parte se il calcio moderno per come lo conosciamo è stato inventato dagli inglesi, qualcosa di molto simile veniva praticato in Cina secoli prima sotto la dinastia Han.