Paesaggi struggenti, natura lussureggiante e borghi romantici: il lago di Como è la perla del Nord Italia» recitano gli annunci pubblicitari. Tutto vero: questo bacino prealpino di origine glaciale serpeggia fra colline e montagne ricoperte di foreste e arricchite da edifici antichi, ma è alrettanto vero che questa bellezza mozzafiato convive con la bestia dell’inquinamento.

Il rapporto di Legambiente sulle acque interne colloca il terzo lago italiano al primo posto in quanto a presenza di microplastiche. Le sue acque, infatti, presentano una densità media di 157 mila particelle per kmq, con un picco di oltre 500 mila particelle, una delle più alte densità registrate al mondo, nel transetto collocato più a nord, in corrispondenza del restringimento tra Dervio, in provincia di Lecco e Santa Maria Rezzonico, sulla sponda comasca. La goletta verde dei laghi ha preso in considerazione non solo il bacino, ma anche i fiumi emissari e immissari come l’Adda, dove sono state rilevate 0,26 particelle ogni metro cubo di acqua: il 62% del numero di microplastiche rilevate a valle del depuratore. Secondo Roberta Bettinetti, docente del dipartimento di Scienze teoriche ed applicate dell’Università dell’Insubria, una densità così alta può avere varie cause: l’inefficacia dei depuratori, che non sono disegnati per il trattenimento delle microparticelle, la particolare morfologia del lago che incide negativamente sul ricambio delle acque, e poi le attività industriali, agricole ed urbane che impattano soprattutto il bacino di Como, città che chiude il ramo sud-occidentale del lago: l’area manca di emissari mentre i suoi principali tributari, i fiumi Cosia e Breggia, sono tipicamente urbani e antropizzati.
Ma la qualità delle acque è bassa anche in relazione ai contaminanti biologici: sulla base della risposta alla pressione dell’ecosistema e dell’eutrofizzazione lo stato ecologico del Lago è considerato «non buono» dall’Agenzia regionale per l’Ambiente. Secondo i rilevamenti effettuati sempre da Legambiente, anche per quanto riguarda questo tipo di inquinamento i dati sono da record; su tutto il bacino del Lago di Como sono stati 8 i campioni risultati oltre i limiti di legge dei 17 raccolti per l’indagine microbiologica. In particolare 2 punti sui 5 della sponda comasca hanno messo in allerta: i campioni prelevati a Dongo presso la foce del torrente Albano ed ad Argegno alla foce del torrente Telo, sono stati registrati come «fortemente inquinati»: ciò significa che In base ai parametri indagati, Enterococchi intestinali ed Escherichia coli superano di più del doppio i valori limite previsti dalla legge.

La qualità delle acque del lago di Como è sotto osservazione da diverse decine di anni. Già negli anni ‘60 si registravano fenomeni di intensa eutrofizzazione, che sono stati risolti solo parzialmente in anni recenti. Inoltre il lago, in particolare il ramo sud-occidentale, ha una lunga storia di contaminazione chimica dovuta alle numerose attività industriali e agricole che si svolgono nei pressi del bacino. Studi mirati alla valutazione delle acque come riserva potabile svolti negli anni ‘80 e ‘90 rivelarono la presenza di sostanze con potere mutageno, ovvero cancerogeno. Verso la fine degli anni ‘90 vennero quantificate sostanze come Ddt e Pcb (vietate da 40 anni) in misura e distribuzione tale da ritenere il sopracitato fiume Cosia un importante fonte di mutageni. Il gruppo di ricerca ha condotto degli interessanti studi sulla distribuzione di questi contaminanti organo-clorurati nei sedimenti lacustri e il loro trasferimento nella catena alimentare a livello delle acque più profonde del lago, individuandone la presenza sia nello zoo-plancton che in una specie di pesce che se ne nutre. Queste sostanze arrivano a contaminare anche pesci tradizionalmente pescati come l’agone: la sua forma essiccata, conosciuta come missoltino, era un tempo una preziosa risorsa alimentare per gli abitanti del lago e ora è un piatto tipico della cucina lariana. Fortunatamente il tipo di lavorazione fa sì che le parti grasse dell’animale, dove avviene il bioaccumulo degli inquinanti, vengano eliminate.

La persistenza di queste sostanze nell’ambiente ha una relazione con i cambiamenti climatici. Secondo i ricercatori, infatti, è dovuta dallo scioglimento dei ghiacciai. I pesticidi, utilizzati per il controllo delle piaghe della frutta nelle vallate adiacenti al ghiacciaio, venivano trasportati verso le montagne dalle correnti per poi rimanere intrappolati nei ghiacci attraverso la neve. Il loro ritiro, dovuto all’innalzamento delle temperature, provoca il rilascio delle sostanze inquinanti nelle acque di scioglimento che scorrono attraverso i fiumi e raggiungono i laghi.

Lo studio dei sedimenti lacustri, sia litoranei che profondi, può essere utilizzato anche per determinare le conseguenze e i rischi per la salute dell’ambiente e dell’uomo delle microplastiche, che nel caso dei laghi sono ancora tutte da studiare: le plastiche possono accumularsi nei tessuti dei pesci e da li trasferirsi ad altri organismi, uomo compreso, attraverso la catena alimentare; nel caso specifico del lago di Como bisogna poi tenere conto del fatto che le sue acque vengo utilizzate per uso potabile. La professoressa Bettinetti ha in cantiere un progetto per determinare quanta plastica rimane in loco e quanta potenzialmente può entrare nella catena alimentare attraverso gli organismi che mangiano il sedimento. Nel frattempo, tenendo conto che una buona parte di questi frammenti inferiori ai 5 mm derivano dalla rottura di pezzi più grandi, è fondamentale intervenire sull’abbandono dei rifiuti: anche nel lago di Como ne vengono trovati in media 2,5 per mq di spiaggia. Un’applicazione per smartphone e tablet ideata da Ars ambiente e TerrAria consentirà ai cittadini di segnalare i principali luoghi di abbandono, così da essere di supporto per il monitoraggio e l’intervento sulle aree degradate.