In tutto il mondo si osserva oggi il diffuso sentimento che noi, il genere umano, viviamo in un’epoca di transizione, benché fra gli studiosi di scienze sociali o altri ricercatori non vi sia alcun consenso generale su quale sia la transizione che stiamo vivendo e quali ne saranno le conseguenze definitive. Per giunta, non vi è accordo generale né su chi meriti di vedersi addossare la responsabilità – o la colpa – dei cambiamenti, né su come rimediare alle loro conseguenze. E tutto ciò non riguarda soltanto il cambiamento climatico, benché questo sia verosimilmente il mutamento più spettacolare e gravido di conseguenze cui andiamo incontro, a meno di mutare rotta.

IL CAMBIAMENTO è in atto in modo accelerato tutto intorno a noi. Oggi siamo più numerosi, e ciascuno di noi in media è più mobile e più attivo – nonché più ricco di collegamenti con gli altri, ossia allacciato a più reti – di quanto sia mai stato. Per la maggior parte del genere umano, le epoche precedenti sono state, senza eccezione, epoche più lente.

SOTTO QUESTO PROFILO oggi viviamo su un pianeta surriscaldato. In fisica, «calore» non è che un sinonimo di «velocità», e «surriscaldamento», tradotto nel linguaggio delle scienze sociali, può indicare un cambiamento accelerato. La rappresentazione grafica più impressionante dei processi di trasformazione che connotano l’epoca attuale è la curva di crescita esponenziale. Nella sua versione più consueta, descrive la crescita demografica mondiale, su cui attrasse fra i primi l’attenzione dei decisori politici il rapporto I limiti dello sviluppo (Meadows, et al. 1972), commissionato dal neo-malthusiano Club di Roma. Fra i vari metodi per prevenire una grave penuria di risorse in futuro, il rapporto raccomandava il controllo demografico. Dal punto di vista dell’ambiente globale la preoccupazione espressa dal Club di Roma è facilmente comprensibile. Molti hanno sostenuto l’improbabilità che sia realistico, sul piano economico ed ecologico, assicurare alla maggioranza dell’attuale popolazione mondiale (che si prevede raggiunga i 9 miliardi di persone entro il 2050) i biglietti aerei per recarsi in vacanza in un resort, un’automobile e tutto ciò che desiderano in fatto di iGadget e simili.

FRA LE ALTERNATIVE proposte e perseguite da attivisti, politici e responsabili della pianificazione vi sono: l’accettazione di una povertà diffusa; la preparazione anche psicologica a una catastrofe ecologica; l’incoraggiamento a ridurre la popolazione; la sostituzione del consumismo con una o più visioni alternative del buon vivere.
Ciò nonostante, la crescita è esponenziale in numerosi ambiti mentre la popolazione mondiale sta aumentando meno rapidamente. Naturalmente, la percentuale di individui che ha accesso a Internet è aumentata a ritmo estremamente veloce a partire dal 1990, quando erano pochissimi a disporre di una connessione, con ulteriore accelerazione dai primi del XXI secolo: ancora nel 2006 si stimava che avesse un accesso ragionevolmente regolare a Internet appena l’1-2 per cento della popolazione dell’Africa subsahariana, a eccezione del Sudafrica. Nel 2017 le stime collocavano la stessa percentuale attorno al 25 per cento. La spiegazione è semplice: oggi milioni di africani possiedono smartphone, che consentono di accedere agevolmente al web e alla posta elettronica.

COME INDICE di questo cambiamento accelerato si potrebbe anche prendere il turismo internazionale. Alla fine degli anni Settanta certi europei del nord, parlando di alcune porzioni della costa spagnola, le definivano «rovinate dal turismo di massa». Eppure nel 1978, non molto tempo dopo la caduta della dittatura fascista, il paese registrava un totale annuo di 15 milioni di arrivi, che nel 2013, secondo le stime, sono passati a 60 milioni, quadruplicandosi nel giro di 35 anni. Sempre per il 2013, il Wto (l’organizzazione delle Nazioni Unite per il turismo) stima che in tutto il mondo gli arrivi di turisti internazionali abbiano superato il miliardo.

I consumi energetici hanno avuto una espansione maggiore rispetto a quella della popolazione. Nel 1820 ciascun essere umano consumava in media 20 gigajoule all’anno. Circa due secoli dopo, siamo a 80, soprattutto grazie alle tecnologie che consentono di sfruttare i combustibili fossili su vasta scala. Com’è ben noto, i consumi energetici sono distribuiti tutt’altro che uniformemente in seno a ogni società e fra comunità diverse: si stima che quanti abitano nei paesi ricchi abbiano accesso in media a una forza motrice equivalente alla situazione in cui erano proprietari di 25 schiavi ciascuno. Sembra un aumento di 4 volte, ma in realtà è di 28, dato che siamo sette volte più numerosi rispetto ai primi dell’Ottocento. Soltanto dal 1975 a oggi, i consumi energetici mondiali sono raddoppiati, e le conseguenze indesiderate sono ben note. Quelle visibili e passibili di esperienza diretta sono l’inquinamento e il degrado ambientale. Quanto agli effetti di lungo termine e su vasta scala, questi sono più difficili da osservare e da comprendere. Sto parlando dei cambiamenti nel clima del pianeta.

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(Traduzione di Marina Astrologo)

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Chi è l’antropologo eco-norvegese

Thomas Hylland Eriksen, antropologo norvegese, insegna Antropologia sociale all’Università di Oslo ed è il presidente della European Association of Social Anthropologists (EASA) e membro della Norwegian Academy of Science.
Tra i suoi libri ricordiamo: «Tempo tiranno. Velocità e lentezza nell’era informatica» (Elèuthera, 2003) e «Fuori controllo. Un’antropologia del cambiamento accelerato» (Einaudi, 2017).