Nella vita di Telma non sembra esserci spazio per il sogno, la passione, il desiderio. Tutto si svolge nei pochi metri che separano la casa dove vive con i genitori, dormendo a trent’anni ancora nello stesso lettino in cui è cresciuta, dalla scuola in cui insegna dopo averla frequentata da studentessa. Apparentemente tutto sembra regolato, previsto, già scritto. Solo l’amore, per altro non corrisposto, per il cugino al fianco del quale ha passato l’infanzia, sembra portare un po’ di calore e di incertezza in un’esistenza regolata dalle norme non scritte cui si attiene la famiglia di ebrei ortodossi in cui è nata. E sarà proprio nel misticismo esoterico della Cabala che Telma cercherà conforto per esaudire ciò che invece, a dispetto della vita grigia che conduce, sente crescere dentro di sé: per dare un volto e un corpo all’amore che prova. Grazie a un vecchio libricino ereditato dalla nonna che nel 1943 era stata una delle combattenti del ghetto di Varsavia, troverà la formula per dar vita da un pugno di terra a un golem, una creatura che può essere evocata pronunciando una combinazione di lettere. E a cui, secondo la tradizione, le comunità ebraiche facevano ricorso in caso di estremo pericolo. Con lui troverà finalmente l’amore, ma anche una passione così intensa e folle da finire per travolgere letteralmente tutto ciò che la circonda.

Nata e cresciuta a Bnei Brak nel 1973, uno dei centri dell’ebraismo ultra-ortodosso, tra le città più povere e densamente popolate di Israele, Sarah Blau affronta nelle sue opere argomenti ebraici da una prospettiva femminista, cercando, spesso anche grazie all’ironia, di aprire la cultura religiosa ai temi di genere, alla sessualità, alla comprensione del mondo laico. Il libro della creazione (Carbonio, pp. 280, euro 16, 50, traduzione di Elena Loewenthal) – che l’autrice presenterà oggi alle 19 nell’ambito del festival Book Pride Link insieme a Mariana Marenghi, online.bookpride.net – è il primo dei tre romanzi pubblicati dalla scrittrice e drammaturga israeliana e mostra come l’incontro tra la tradizione cabalistica, e poi medievale, del golem, e l’immaginario gotico che fa da sfondo a molte opere, a cominciare dal Frankestein di Mary Shelley, possa riaffiorare oggi per raccontare della ricerca della libertà e della consapevolezza di sé di una giovane donna.

Telma crea un golem per essere amata, mentre nella tradizione ebraica questa figura veniva evocata soprattutto per difendere la comunità. Come è nata l’idea di questo romanzo?
Sono cresciuta con la leggenda del golem. Nel libro che ho letto più e più volte quando ero piccola, era un rabbino a creare il golem. Solo che lui aveva una figlia e mi faceva così arrabbiare il fatto che fosse una figura passiva che non faceva quasi niente durante tutta la storia. Sapevo già che una volta cresciuta avrei posto rimedio a questa situazione. Perciò nella mia versione è la donna che crea il golem. Per il resto, è vero che nel mito originale il golem protegge gli ebrei dai loro nemici, viene creato per dei fini «patriottici», ma io volevo che la protagonista ne creasse uno per scopi del tutto personali, per amore. Ma nella vita l’amore e la guerra si mescolano e talvolta sono inseparabili.

[do action=”citazione”]Sono cresciuta con la leggenda del golem. Nel libro che ho letto più e più volte quando ero piccola, era un rabbino a creare il golem. Solo che lui aveva una figlia e mi faceva così arrabbiare il fatto che fosse una figura passiva che non faceva quasi niente durante tutta la storia. Sapevo già che una volta cresciuta avrei posto rimedio a questa situazione. Perciò nella mia versione è la donna che crea il golem[/do]

 

La protagonista si ribella ad un mondo che condanna il suo desiderio, ma lo fa attingendo agli strumenti di quella stessa cultura. Sembra vivere in modo contraddittorio, ma forse solo innovativo, il suo rapporto con le tradizioni che la circondano.
Credo che il fuoco si combatta col fuoco. Telma conduce un’esistenza reclusa e repressa e c’è un enorme divario tra le passioni e i desideri che osa esprimere al di fuori del mondo religioso in cui vive e la realtà quotidiana nella quale è immersa. Alla fine della storia, però, ogni cosa intorno a lei esplode fragorosamente, come con i fuochi d’artificio, perché è impossibile vivere così a lungo in sé stessi. Lei però non vuole distruggere tutto, vuole continuare a vivere in un ambiente religioso, ma rinnovato. Vuole portare il progresso a casa sua!

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Più che alla Cabala o alla storia medievale di Praga, il golem di Telma rimanda all’insurrezione del ghetto di Varsavia. La tradizione si intreccia con la storia e quella forza oscura evocata per difendere si trasformerà in una minaccia anche per chi l’ha richiamata alla vita.
Credo che ogni nazione abbia ricordi antichi che vengono tramandati di generazione in generazione e ogni volta si esprimono in modo diverso. La storia si ripete sempre. È impossibile uscirne. Soprattutto se si ha a che fare con un popolo antico come gli ebrei. Lavoravo all’Istituto per gli studi sull’Olocausto e ho letto che Hitler, che credeva nei poteri soprannaturali, riteneva che gli ebrei avessero creato un golem durante la rivolta del ghetto di Varsavia. Era impossibile dimenticare un’idea del genere. Così, mentre scrivevo di Telma ho pensato che la creatura poteva essersi reincarnata più volte: era la stessa che aveva aiutato gli ebrei a Varsavia. Telma però sottovaluta come si debba sempre pagare un prezzo, per qualsiasi cosa. Anche il golem è pericoloso: ciò che ti aiuta oggi può rivoltarsi contro di te domani.

Il suo libro mette insieme la Cabala e i miti ebraici con la creatura letteraria di Mary Shelley. I mostri ci inquietano ma forse è Telma che dovremmo temere.
Il libro si apre non a caso con una citazione del Frankenstein di Shelley. Viviamo in un tempo che è più vicino che mai alla creazione di un essere umano artificiale. Nell’interpretazione della Cabala è così che viene chiamato il golem: «una persona artificiale». Per quanto riguarda Telma, è vero, diventa sempre meno umana man mano che il libro procede. Si forma una sorta di simbiosi tra lei e il golem. Ma non dobbiamo aver paura di lei, ma delle condizioni in cui vive, della sua solitudine, sofferenza, misantropia.

Nelle sue opere emergono i diversi riferimenti entro i quali si muove: l’essere cresciuta in una famiglia haredim e l’aver adottato un approccio di genere. Il femminismo incontra la cultura ultra-ortodossa?
Sono nata in una famiglia religiosa. Oggi mi considero «in parte» religiosa (religious-lite, come usano definirsi molti giovani israeliani, nda). Quanto al femminismo religioso ci sono importanti cambiamenti in atto. Ci sono donne che insegnano la Halakhah (la tradizione «normativa» religiosa dell’Ebraismo) e commentatrici della Torah. Ci vorrà del tempo prima di raggiungere una situazione perfetta, ma ho molta pazienza. E penso che l’arte e la cultura stiano giocando un ruolo molto importante in questo progresso.

Lei è stata tra le promotrici delle «cerimonie alternative» per il Giorno della Memoria dell’Olocausto, Yom HaShoah, che si svolge tra aprile e maggio in Israele. Un’iniziativa che ha fatto molto discutere: di cosa si tratta?
Credo che ogni generazione ricordi in modo diverso. E la memoria non è solo una forma di tristezza. La memoria può essere un pensiero, un’idea, un’emozione. A lungo in Israele le cerimonie dedicate all’Olocausto hanno avuto soprattutto un carattere nazionale e istituzionale. Ma vedevo che i miei coetanei o anche i ragazzi più giovani non partecipavano. Sembravano più interessati alle questioni di attualità e ai temi culturali legati all’Olocausto. Non alla dimensione nazionale, ma a quella personale e privata delle vicenda. Così abbiamo cercato di trovare un altro modo che fosse basato più sullo scambio dei ricordi che sulla celebrazione, che desse spazio alle storie personali di chi era sopravvissuto. È venuta tanta gente, molti giovani, e talvolta i discorsi si sono protratti fino alla notte. Credo che se i miei nonni, sopravvissuti all’Olocausto, fossero ancora vivi, vorrebbero partecipare a delle cerimonie del genere.

[do action=”citazione”]Importanti cambiamenti sono in atto rispetto al femminismo religioso. Ci sono donne che insegnano la Halakhah (la tradizione «normativa» religiosa dell’Ebraismo) e commentatrici della Torah. Ci vorrà del tempo prima di raggiungere una situazione perfetta, ma ho molta pazienza. E penso che l’arte e la cultura stiano giocando un ruolo molto importante in questo progresso[/do]

 

Lei è nata a Bnei Brak, la città di Israele dove il Covid si è diffuso di più perché in molti tra gli haredim si rifiutavano di adottare le misure di prevenzione. Ora qual è la situazione?
Penso che la vera tragedia per la popolazione ultra-ortodossa risieda nell’incapacità di accettare che tutto ciò che ha protetto il popolo ebraico per 2000 anni – le preghiere in comune, le comunità chiuse, il sovraffollamento delle sinagoghe, i matrimoni di massa – equivalga ai comportamenti più pericolosi da adottare durante una pandemia. Il virus ha messo queste persone di fronte a un completo capovolgimento delle proprie abitudini, c’è stata molta confusione e una grande difficoltà ad affrontare la situazione. Ma, pian piano, le cose sono migliorate. Qui all’inizio non c’erano quasi persone con le mascherine, ora quasi tutti le indossano. Dio ci protegge, ma anche una mascherina può fare la sua parte. Non è vero?