Forse la spiegazione più immediata del perché la pianura sia così capace di produrre un numero considerevole di eccentrici e di bizzarri è data proprio dalla sua conformazione. La pianura è sicuramente un mondo, ma è anche l’unico mondo a noi noto realmente piatto. Pianura di Marco Belpoliti (Einaudi, pp. 296, euro 19,50) è al tempo stesso un lungo flashback autobiografico, ma anche la premessa di un futuro possibile sempre a portata di mano, al punto dal divenire subito presente.

Il presente dentro al quale esplicitamente si dice appartenere l’autore è infatti quello della traccia della penna, quello della scrittura. Il libro si apre con un’avvertenza: sulle strade di pianura non si cammina ai bordi, meglio bagnarsi le scarpe nei piccoli fossati a lato che rischiare un sicuro investimento. Perché in pianura dove tutto è a perdita d’occhio non conta cosa si vede, ma cosa si percepisce. In questo mondo piatto Belpoliti si fa accompagnare da un «tu» sconosciuto al lettore con cui dialoga a distanza lungo tutto il libro.

PER CERTI VERSI l’utilizzo del tu ricorda un poco il tu narrativo utilizzato da Paul Auster in Diario d’inverno, ma con una differenza. Auster esplicita in quel tu un dialogo con se stesso cosa che Belpoliti non fa mai, anzi lascia pensare che quel tu sia proprio rivolto ad un amico reale, ma soprattutto anche a livello narrativo quello che per Auster è un accadimento rivelatore – l’incidente in auto – in Pianura diventa un’avvertenza, una rivelazione e un dolore conseguenti da evitare con cura. La pianura non è New York e un incidente può essere fatale, ed è attorno a questa legge che si muove tutto il libro.

BELPOLITI, DA TEMPO «espatriato» a Milano, torna di malavoglia a casa, all’origine. Non è possibile infatti controllare le emozioni in uno spazio così ampio e aperto: tutto qui circola e si espande fino all’orizzonte. Ma non sempre è possibile evitare un incidente come succede nello struggente capitolo che vede protagonista l’aceto balsamico: un incontro addio tra l’autore e il padre. O come avviene nella visita allo scorbutico Cesare Garboli. In questi casi Belpoliti mette in atto una forma di distanza che non è un reale distacco o indifferenza, ma è qualcosa che origina dalla sua terra e che si è portato sulle spalle per tutta la vita e in tutti suoi viaggi. Come spiega nelle pagine forse più belle del libro questo oggetto emotivo e instabile è la nebbia. Elemento fondamentale della pianura, la nebbia traccia e definisce confini e anche relazioni, visioni e immaginazione.

Pianura si snoda tra le stagioni e all’interno di un percorso biografico che intercetta alcuni dei nomi centrali della cultura del secondo Novecento italiano da Ghirri a Camporesi, da Celati (che da eterno giovane, da trickster prende qui la forma di grillo parlante che avverte e prevede) a Giulia Niccolai. Come nella vita le figure si intrecciano, ritornano sui luoghi di un passato che ha sempre più dell’incredibile rispetto a quanto si ricordava. In altri casi riportano alla mente aspetti minimi di un tempro precedente da cui non si può evadere.

La descrizione della vecchia stazione di Reggio Emilia ormai subalterna a quella dell’alta velocità, ma più carica di memoria e delle conseguenti implicazioni ricorda la scena finale della Strategia del ragno di Bertolucci, quando agli annunci continui di ritardo del treno in arrivo compaiono tra i binari le sterpaglie di un luogo che è in realtà in abbandono da tempo.

E IN PARTE in questo finale richiamo all’umiltà, al basso profilo, contraddetto dall’altezza fisica che di generazione in generazione si alza sempre più, che chiude il libro, si rivela la consapevolezza di un ritorno impossibile. Perché mai si è lasciata per davvero la pianura e anche perché abbandonare, perdere o tradire non coincide mai con il dimenticare. Dice Athos Magnani protagonista della Strategia del ragno: «Un uomo è fatto di tutti gli uomini, li vale tutti e tutti valgono lui». Pianura è un libro che racconta di una vita e di molte vite, di quello che le ha unite e di ciò che le ha separate: il bene e il male stanno entrambi nella nebbia che ci sta tutt’attorno e addosso.