La riproposizione del presidenzialismo non è una novità. Ogni volta che la politica si dimostra incapace di fare alcunché, neppure la riforma elettorale con legge ordinaria, spunta la tentazione dell’uomo solo al comando plebiscitato dal popolo.
Il fatto nuovo è che nella schiera dei presidenzialisti vi sono oggi vari esponenti del centro-sinistra. Qualcuno scomoda un illustre padre costituente, Pietro Calamandrei, che si dichiarò a favore del presidenzialismo.

Com’è noto, la grande maggioranza dei costituenti scelse la forma di governo parlamentare. E fece bene perché l’Italia usciva dal fascismo e occorreva costruire un sistema democratico che valorizzasse la centralità del Parlamento e il ruolo fondamentale dei partiti di massa. Comunque Calamandrei prendeva come modello il vero presidenzialismo, quello degli Stati Uniti. Cioè un sistema nel quale il Presidente e il Parlamento sono eletti dal popolo separatamente, il Parlamento non può sfiduciare il Presidente né questi può sciogliere le Camere. Inoltre vi sono importanti contrappesi tra i due poteri: basti citare da un lato il veto presidenziale sulle leggi e dall’altro i forti poteri di controllo del Congresso, che ha anche l’arma suprema della dichiarazione di impeachment e della rimozione dalla carica del Presidente colpevole di “tradimento, corruzione e altri gravi reati”. Ne sa qualcosa Clinton che fu messo in stato d’accusa e si salvò per poco dalla destituzione in quanto colpevole di avere mentito al Congresso sui suoi rapporti con una nota stagista. Insomma il modello americano è fondato sull’equilibrio tra i poteri e su un Parlamento forte e autorevole.

Ebbene, i nostri novelli “costituenti” non guardano al vero presidenzialismo, ma al semipresidenzialismo. Vale a dire ad un sistema nel quale il capo dell’esecutivo è un Presidente eletto dal popolo, ma vi è anche un Governo con un Primo ministro che deve avere la fiducia del Parlamento, il quale può a sua volta essere sciolto dal Presidente. L’espressione è stata inventata da un politologo francese, Duverger, che ha considerato come prima esperienza storica di quel tipo la Repubblica di Weimar, quella che in Germania precedette l’avvento al potere di Hitler. Il precedente storico è imbarazzante: la giustapposizione di un Presidente eletto dal popolo e di un Parlamento fortemente diviso spinse il primo a fare ricorso a successivi scioglimenti anticipati della Camera e alla formazione di “governi del Presidente” presieduti da militari fino alla nomina come Cancelliere di Hitler nel 1933.

Il sistema semipresidenziale è stato poi adottato in vari paesi, ma in quasi tutti (Austria, Finlandia, Irlanda, Islanda, Portogallo) la componente parlamentare ha nettamente prevalso su quella presidenziale, grazie al buon funzionamento del raccordo tra Governo e Parlamento e al fatto che non vengono candidati alla presidenza i leader di partito. L’eccezione più rilevante è proprio la Quinta Repubblica francese. E naturalmente è quella prescelta dai nostri presidenzialisti. Purtroppo si tratta di un sistema che, nonostante la riforma costituzionale del 2008, che fu voluta da Sarkozy per riequilibrare i rapporti tra le istituzioni, risulta ancora nettamente squilibrato a favore di un Presidente che può contare su una maggioranza in Parlamento. In questo caso, egli viene a sommare i poteri del Presidente degli Stati Uniti con quelli del Primo ministro inglese.E la forma di governo non funziona come semi ma come ultrapresidenziale. Infatti il Presidente può liberamente nominare e revocare Primo ministro e ministri, sciogliere il Parlamento, rinviare una legge al Consiglio costituzionale, ricorrere al referendum, fare ricorso a poteri straordinari. In pratica è lui a decidere la politica del paese. E però è politicamente irresponsabile, in quanto il Parlamento può solo sfiduciare la sua controfigura, il Primo ministro, ma non il Presidente, che non può essere processato durante il mandato e può essere destituito per violazione dei suoi doveri costituzionali solo da una stratosferica maggioranza dei due terzi dei parlamentari.
Ma cosa succede se la maggioranza parlamentare è di colore politico opposto a quella presidenziale? Allora si verifica la cosiddetta “coabitazione” tra il Presidente e un Governo espressione della maggioranza parlamentare. Solo in questa ipotesi, che pone qualche problema di funzionalità delle istituzioni, si può parlare di un funzionamento semipresidenziale della forma di governo. Ma si tratta di un’ipotesi eccezionale e che è diventata improbabile dopo che all’inizio degli anni Duemila è stata ridotta a cinque anni la durata del mandato presidenziale, equiparandola a quella del Parlamento, e le elezioni presidenziali sono state anteposte a quelle legislative. Ciò comporta che alle elezioni del Parlamento, cioè dell’organo rappresentativo del pluralismo politico, partecipino meno del 60% degli elettori, mentre a quelle presidenziali si recano circa l’80% degli elettori.
Insomma il sistema “semi-presidenziale” alla francese è geneticamente squilibrato e deprime la partecipazione politica dei cittadini. È veramente quello che serve all’Italia? Ad articoli successivi la risposta alla questione.