Prendere un taxi, soprattutto nelle metropoli, è come andare al cinema. Ti siedi, senti l’umore del conducente, fai una domanda e possono aprirsi le porte delle esistenze. Non per niente, da Taxi driver di Scorsese, passando per Taxisti di notte di Jarmush fino a Taxi Teheran di Panahi, quell’andirivieni a pagamento ha ispirato, e continuerà a farlo, l’occhio dei cineasti. Questo è l’ultimo film a cui ho assistito in diretta, pochi giorni fa, a Milano. Sono le 20 passate, piove. Il taxista è giovane e appena salgo mi chiede «È in ritardo? Deve essere sul posto fra cinque minuti?». Se anche arriviamo un po’ dopo non succede nulla.

«Ah, mi scusi, scherzavo. Sa, è la prima corsa del turno». Fa il turno di notte? «Sì. Dalle 20 alle 6, da quando ho iniziato questo lavoro, e mi piace moltissimo». E che cosa le piace? «Tutto. C’è meno traffico, i clienti sono meno stressati e poi c’è la banda». E qui comincia il racconto della sua storia.
«Mio padre faceva il taxista e quando ha smesso mi sono detto che, proviamo a fare il corso. Io prima ho fatto il cuoco per 9 anni in un locale del centro. Vengo dalle scuole alberghiere e cucinare mi piace ancora tantissimo. Insomma, comincio il corso e la sera dopo vedo arrivare due miei amici. Ma come, gli faccio, anche voi qui? Dopo altri due giorni ne arrivano altri due. Per farla breve, in poco tempo siamo diventati 12, tutti dello stesso quartiere, tutti amici, e adesso tutti e 12 facciamo i taxisti, tutti lo stesso turno di notte. È bellissimo perché ci sentiamo e, se c’è un problema, mica telefoniamo ai vigili, ci chiamiamo fra noi e si risolve tutto senza menate».

Tipo, se c’è uno che non vuole pagare o un ubriaco che non vuole scendere? «Esatto. Se quello vede arrivare altri tre o quattro di noi, si fa subito calmo e la cosa fila via liscia». E di che quartiere siete? «Quarto Oggiaro. Scuola di vita. E di strada. Ma l’alberghiero non l’ho fatto lì, che non si imparava niente». Quindi partite e tornate insieme? «Sì, e alle sei, finito il turno, andiamo tutti insieme al bar a fare colazione. Se uno ha finito una corsa lontano, lo aspettiamo». E in che bar andate? «A Quarto Oggiaro, in un bar gestito da una cinese bravissima. Arriviamo lì e lei è già aperta, con le brioche pronte. Quando un amico ha aperto un bar, ci siamo spostati, ma quello era puntuale una mattina sì e una no, e se era in ritardo mandava avanti suo padre. Mica si fanno così gli affari. Noi, come minimo, gli lasciamo 50 euro, e con quelli il bar ci ha già pagato le spese della giornata, il resto è guadagno. Se sei furbo, mica li lasci scappare dei clienti così.

Così ci siamo spostati da un altro amico, ma anche lì era la stessa storia, così siamo tornati dalla cinese, che non ci ha mai tradito. L’abbiamo trovata chiusa una sola volta, ma perché stava male. Siamo andati a suonarle a casa, lei ci ha dato le chiavi e ci siamo messi le brioche nel forno».
Lei ha una fidanzata? «Sì». E non si lamenta che non vi vedete mai la sera? «No, un po’ perché sapeva fin dall’inizio che mestiere e turno faccio, un po’ perché quando lei mi chiede di andare a cena, io mi prendo un giorno libero. Se vuole andare al mare due giorni, mi prendo due giorni. Certo, non si può fare spesso, perché le spese sono tante, ma basta andare d’accordo e organizzarsi».
Siamo arrivati a destinazione e non ho fatto in tempo a domandargli tutte le altre cose che avrei voluto. Quando sono scesa, ho avuto l’impressione che avesse fatto una strada un po’ più lunga del necessario, ma chi se ne importa. Con un raccontatore così, avrei potuto girare anche tutta la notte, tassametro permettendo.
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