I Castelli sono sempre là (…) allora ci si andava con il tranvetto bianco e azzurro e, durante il percorso, se ne vedevano di barrocci che, visti da lontano, sul mezzo meccanico in corsa sembravano chiocciole che arrancavano con difficoltà. Non ci sono più i fagottari, quella gente intendo che portava il mangiare avvolto nella carta oleata e marron e, una volta seduta, ordinava solo il vino. Sotto una fraschetta d’Ariccia, quando ancora ci avventuravamo con i reduci, Ricci, l’Indiano, Limone e il Giacca, una volta ci imbattemmo in Pier Paolo accompagnato da Sergio (…)

Ci salutammo con affetto con, in disparte, Sergio sempre diffidente. Natalina chiese se stavamo lì per una fojetta. Pier Paolo sembrò non capire a tutta prima, poi aiutato dall’amico linguista ne nacque una discussione dotta sui significati di «fojetta» e «fraschetta». «Fraschetta e fojetta» altro non erano che due graziose sineddoche per indicare l’una l’osteria, l’altra la bottiglia di vino. La fraschetta e la frasca d’alloro che sporgeva da un’osteria e stava a segnalare che quell’oste aveva dato il giro alle sue botti. Per consuetudine, per correttezza nessun oste nelle vicinanze avrebbe messo in mostra la sua frasca prima che tutto il vino del collega fosse finito. Sempre più spesso, per una questione di pigrizia che gli osti camuffavano invece con un cervellotico divieto dell’Ufficio d’igiene (la frasca avrebbe attirato le mosche), la fraschetta veniva sostituita dalla «bandiera», un pezzo di latta tagliato a forma di freccia inchiodato a un bastone. La «fojetta» stava a indicare invece la bottiglia da vino tipica di queste parti, col ventre rigonfio, stretta verso l’impugnatura e nuovamente aperta a calice per non disperdere il vino che, dalla botte, esce a scroscio. La bottiglia aveva, verso l’impugnatura, un segno – la misura – che indicava fino a dove andava riempita per fare un quarto, il mezzo litro o il litro. Un oste accorto, ai tempi, non l’avrebbe mai riempita fino al segno ma si sarebbe tenuto mezzo centimetro sotto («giusto ’na foja»); quell’infinitesima parte di vino sottratta all’avventore era appunto la «fojetta», il guadagno aggiuntivo che faceva vivere l’oste.

Pier Paolo aveva un modo di salutare a tratti languido, come melanconico e così fu il nostro arrivederci quella volta, grato per la spiegazione lessicale quand’anche sembrò a un certo momento che ci prendessimo con Sergio che proponeva varianti, ma che alla fine concordò. Non ci furono brindisi quel pomeriggio ma sguardi d’intesa e di acquiescenza col bicchiere levato. Era oramai lontano il tempo del mio primo vino e oggi, purtroppo, così lontano quel pomeriggio affocato intorno a una bottiglia di bianco che metteva allegria solo a vederla lì.

*da «Borgata Gordiani» di Aldo Colonna, Skira, Milano, 2012