Uno spettacolo intelligente (e divertente) praticamente al debutto in un posto comodo e scaramantico come «Il giardino ritrovato» nel cuore di palazzo Venezia, con la storia di un potente signore che per paura di venire un giorno tradito o mazziato alleva nella più assoluta ignoranza la fanciulla orfana e ingenua che si è scelto ancora bambina. È Molière l’autore de La scuola delle mogli, uno che ben conosceva il potere scrivendo alla corte del più assoluto dei sovrani. Ma quell’Arnolfo aspirante dittatore dei sentimenti, finirà seppellito nel ridicolo e negli sberleffi di tutta la sua pretesa «corte».

La traduzione, molto bella ed efficace, di Cesare Garboli ci restituisce intatta la forza di quella lezione e delle ridicole pretese che, storicamente come nelle vicende private, così sono destinate a concludersi. E Arturo Cirillo, da sempre conoscitore e maestro di comicità popolare, imprime allo spettacolo un ritmo trascinante che si fa anche moralità pubblica. Sono bravi gli attori che lo circondano nel ruolo di presuntuoso babbeo (fantastica la spudorata ingenuità di Valentina Picello, anche se son tutti scattanti e simpatici), ma Cirillo ha saputo trovare almeno altri due punti di forza. La scena di Dario Gessati è una macchina mirabile: la casa a due piani del seviziatore e della sua vittima, grande ma capace di ruotare (spinta a mano dagli stessi attori) mostrando, quando serve, un’altra prospettiva, quasi l’altra faccia della verità: un antico artificio scenico del teatro ma che oggi permette la modernità cinematografica del campo e controcampo.

L’altra sorpresa è la musica, composta da Francesco De Melis, che non «accompagna» la vicenda, ma con i virtuosismi di diversi strumenti crea una vera partitura, parallela e dialettica con la commedia. Lo spettacolo, coprodotto da Marche Teatro con l’Elfo e lo Stabile di Napoli, andrà in tournée nella prossima stagione.