Il 15 gennaio all’età di 72 anni è morto Viktor Anpilov. Con lui se ne va uno degli ultimi protagonisti delle drammatiche vicende che segnarono la fine dell’Urss e la nascita della Russia contemporanea. Anpilov, faceva parte di quella generazione di russi nata subito dopo la «Grande Guerra Patriottica» che fortemente credette nel socialismo sovietico. Una fede che si tramutò in impegno e devozione alla causa dell’Urss fino al fideismo e all’adesione alle varianti più dogmatiche del marxismo che gli impedirono di cogliere i limiti e la degenerazione di quell’esperienza. Alle esequie del 20 gennaio a Mosca, bandiere rosse a mezz’asta e striscioni di ormai scomparse sezioni territoriali del Pcus di Mosca.

NATO NEL 1945 a Belaya Glina nella provincia di Krasnodar, Anpilov, si trasferì a Cuba dove divenne corrispondente della radioTv sovietica per i paesi dell’America latina nel 1977. Nel 1984-85 in Nicaragua seguì da vicino la rivoluzione sandinista. L’evoluzione turbolenta del mondo sudamericano, segnato da grandi rivolgimenti politico-sociali così distante dall’ovattata atmosfera della Mosca degli ultimi anni del breznevismo, influenzarono profondamente Anpilov, che divenne uno degli alfieri di una burocrazia radicale, cultrice del ruolo politico dell’esercito.

RIENTRATO a Mosca, fu uno dei più duri oppositori della perestrojka, in cui vedeva l’ultima di una catena di tradimenti del socialismo iniziati con l’ascesa di Krusciov ai vertici del partito. Amava definire Gorbaciov, «il migliore dei tedeschi».

QUANDO NELL’AGOSTO del 1991 alcuni membri del governo sovietico tentarono un tragicomico golpe contro Gorbaciov, Anpilov e suoi compagni sostennero il «Comitato di Salute Pubblica» rammaricandosi solo che il segretario del Pcus e Eltsin non fossero stati subito arrestati. Ma in una sorta di «afflato romantico» cercarono di dare un pennellata rivoluzionaria al putsch militare.

«La rimozione di Gorbaciov fermerà l’inabissamento della nostra società verso la dittatura fascista. Scegliamo i consigli dei lavoratori per controllare le attività dell’amministrazione. Creiamo dei comitati per proteggere la proprietà pubblica, per mantenere l’ordine pubblico nelle strade delle nostre città… No all’anarchia!», scrisse Anpilov in un volantino circolato in quei giorni.

NEL NOVEMBRE 1991, dopo lo scioglimento del Pcus, è tra i fondatori del Partito Operaio Comunista Russo, 60.000 aderenti, una variante «attivistica» del partito di Gennady Zjuganov. Nel 1992 lancia il giornale Russia Lavoratrice, un piccolo un caso editoriale capace di attrarre lettori non solo nell’area comunista ma anche nel più vasto mondo dei nazionalisti e degli slavofili, uno dei primi casi di «rossobrunismo».

ERANO GLI ANNI delle privatizzazioni eltisiniane promosse da Egor Gaidar che condussero all’ascesa di oligarchi senza scrupoli come Khodarkovsky e Abramovic, della liberalizzazione dei prezzi, dell’inabissamento sotto il livello della povertà di interi settori della popolazione russa.

ANPILOV assurse alle cronache nei tumultuosi giorni dell’ottobre 1993, quando Boris Eltsin piegò con la forza, il governo e il parlamento russi: le foto della Casa Bianca di Mosca cannoneggiata dall’artiglieria fecero il giro del mondo.

LO SCONTRO ISTITUZIONALE, dietro l’incedere della catastrofe economica, si trasformò in rivolta popolare tra il 1° e il 4 ottobre 1993 e Anpilov ne fu uno dei dirigenti e artefici. Dalla sede di Russia Lavoratrice, assieme a un gruppo di sottufficiali e veterani dell’Armata Rossa, diresse senza successo l’assalto dei manifestanti anti-Eltsin al municipio di Mosca e la sede della Tv di Stato in cui perirono oltre 150 persone. Anpilov denunciò poi, nelle sue memorie pubblicate nel 2002, che i capi del governo e del parlamento Ryzkov e Kasbulatov, oltre che Zjuganov, avessero tradito l’insurrezione non armando gli insorti quando ancora la polizia cittadina era in posizione di neutralità.

Arrestato per i fatti dell’ottobre, Anpilov poté lasciare il carcere grazie a una amnistia e riprendere la sua attività politica e pubblicistica. Ma la Russia stava definitivamente cambiando e i proclami per una rivoluzione che riportasse il paese a essere la «grande potenza stalinista» ormai attecchivano sempre meno. Alla metà degli anni duemila sorprese un po’ tutti quando aderì al movimento d’opposizione «Un’altra Russia» fondato dal celebre scacchista Garri Kasparov e dal funambolico romanziere «nazionalboscevico» Eduard Limonov. Ma fu l’ultimo colpo di coda.

NEGLI ULTIMI ANNI si fece ricordare solo per il sostegno nelle presidenziali del 2012 al reazionario Vladimir Zirinovsky e per melanconiche apparizioni nei talk-show politici urlati di seconda serata, in cui giocava il ruolo di «demone della rivoluzione».