Ora che la fretta di riformare la legge elettorale ha contagiato tutti, al punto da immaginare la possibilità di introdurre un nuovo sistema di voto in sette giorni dopo che per sette anni non si è mosso un passo, sarebbe il caso di partire da alcuni dati di fatto. Il primo è che una legge elettorale valida è applicabile in questo momento c’è. Evitare il vuoto normativo è stata la principale preoccupazione della Corte costituzionale, che è intervenuta sulla legge Calderoli in modo da lasciare comunque in vita un sistema proporzionale senza premio di maggioranza, con una preferenza e articolate soglie di sbarramento. Leggeremo le motivazioni. Si può politicamente sostenere che il Porcellum così mutilato è inservibile, ma allora la conseguenza più logica e più costituzionalmente corretta dovrebbe essere proporre il ritorno alla legge elettorale precedentemente in vigore, la legge Mattarella. È anche la soluzione più semplice, dunque ben si concilia con la ritrovata urgenza.

Ma, si dice, il Mattarellum (o Minotauro, come anche lo battezzò Sartori) è inservibile. E lo sarebbe per alcune ragioni politiche, che adesso vedremo, e anche per una ragione costituzionale: nel frattempo infatti è stato introdotto in Costituzione un sostanziale obbligo alla parità di genere nelle candidature. Nei collegi uninominali tipici del Mattarellum la parità è difficile, ma questo solo a livello di un singolo collegio. Nulla vieta, con una piccola modifica, di obbligare partiti e coalizioni a rispettare un equilibrio tra i sessi nel complesso delle candidature nazionali. Quanto alla parità per la parte proporzionale, questa già c’è: la legge del 1993 prevedeva l’alternanza all’interno delle liste. Liste, ricordiamolo, molto corte, composte al massimo da quattro nomi. Il che vale a superare un’altra possibile obiezione. La Corte costituzionale ha infatti bocciato le liste bloccate, ma avendo davanti il panorama della legge Calderoli, dove gli elettori dovevano barrare alla cieca elenchi di 45 candidati.

Si dice però che la legge Mattarella andrebbe cambiata per aumentarne la portata maggioritaria, naturalmente a scapito della quota di proporzionale che era prevista al 25%. Questo perché in un quadro politico divenuto tripolare la vecchia legge non sarebbe più in grado di assicurare una maggioranza stabile. Bisogna però ricordare che in partenza nessuna delle elezioni fatte con il Mattarellum si presentava come bipolare: oltre a centrodestra e centrosinistra nel ’94 c’erano il Patto, nel ’96 la Lega e nel 2001 Rifondazione. Certo, nessuna di quelle terze forze aveva la consistenza di Grillo. Almeno stando ai sondaggi. Ma in una sfida a due le terze forze finiscono sempre penalizzate, collegio per collegio. Il sistema elettorale, cioè, orienta i comportamenti degli elettori, non si limita a registrarli. Aggiungere invece un sovrappiù di maggioritario a un sistema che già lo prevede strutturalmente (chi vince anche di un solo voto prende tutto il seggio) andrebbe nella direzione opposta a quella indicata dalla Consulta, che ha bocciato proprio l’eccesso di distorsione maggioritaria.

Quando fu originariamente proposta, la legge Mattarella prevedeva una quota proporzionale ancora più ampia, del 30%. Oltre al meccanismo dello scorporo che serviva proprio a limitare l’impatto del maggioritario. Lo scorporo è stato demonizzato, quando invece andrebbero giudicati male i partiti che lo utilizzarono in modo truffaldino. Nel ’94 infatti nessuno ricorse alle liste civetta e problemi non ce ne furono. Nel ’96 il centrosinistra si inventò il trucco, usandolo solo in maniera limitata, e lo suggerì al centrodestra che la volta successiva ne fece un abuso tale da restare, nel 2001, senza deputati da far sedere nei seggi conquistati: quel parlamento rimase monco. Lo scorporo era un meccanismo giusto che impediva ai trionfatori dell’uninominale di prendere anche tutta la posta del proporzionale. Come sperimentò nel ’96 a Napoli un candidato fortissimo, messo alla testa della lista proporzionale e clamorosamente escluso per eccesso di vittoria dell’Ulivo nei collegi. Era Giorgio Napolitano.