Pensa alle linee melodiche possibili del blues, all’idea del blues, alla potenza circolare del blues. Cerca e trova tutto questo in spunti e strutture elaborati in passato da jazzmen di punta, Julius Hemphill, John Carter, Sun Ra, nomi così. Aggiungi nuovi temi e nuovi nuclei sonori, originali, sempre sulla base del blues, usciti dai pentagrammi e dalle esperienze di jazzmen di punta che vivono oggi in Italia e praticano il dissenso musicale. Reinventa i materiali passati e quelli nuovi col criterio della free music molto strutturata e preparata. È quanto fanno quattro musicisti di gran classe che si chiamano Errico De Fabritiis (sax alto), Alberto Popolla (clarinetti), Gianfranco Tedeschi (contrabbasso), Fabrizio Spera (batteria) al club Le Mura, quartiere San Lorenzo, Roma. E appunto free con forti accenti blues, con accenti che procedono dal blues e viaggiano lontano ricordandolo sempre, è la musica che si ascolta. Passionale e indisciplinare. Le polifonie libere tra i due fiati sono la cosa che si nota di più. Associate senza contrasti con passaggi in unisono usati classicamente (ma non sempre, non obbligatoriamente) nell’esposizione dei temi. Già nelle parti tematiche è chiara la scelta di piazzarsi in una zona musicale dove la cantabilità, aspra o morbida, costeggia l’atonalità. Poi, le parti solistiche improvvisate vanno a configurarsi senza uno stacco violento nella zona del non-armonico e dell’informale.

De Fabritiis è lo spirito inquieto del gruppo. Nell’esemplare The Hard Blues firmato da Julius Hemphill e registrato nel febbraio 1972, il sassofonista si esalta nel tempo medio assai marcato, con scansione ruvida da rhythm’n’blues. Frasi spezzate, il territorio free-con-blues è abbandonato e ritrovato alla ricerca di un inedito non-territorio free. Un Charles Bird Parker che tiene conto di John Butcher passando da Eric Dolphy. Lo si dice per fare immaginare un tipo di linguaggio non certo per togliere grammi di originalità all’autore. Che conosce il valore del singolo suono e delle pause spiazzanti. Ma qui è il quartetto che mostra bene la sua sapienza, visto che il tema così «in the tradition», soul+hard bop, è fuso con un episodio d’assieme davvero avant-garde, magnifico.

Popolla, più spesso al clarinetto basso, può essere ayleriano ed ellingtoniano restando se stesso. E restando un improvvisatore radicale. Preferisce gli spazi ampi, là dove De Fabritiis tende a condensare le sue sortite in sequenze brevi (ma è assistito dal fantasma di Webern), si lancia nei «fuori registro» ma non ignora il «grazioso» e il «flessuoso». Tedeschi sta sulle sue e si accontenta di esibire il più bel suono, secco, mordente, e il più preciso/audace fraseggio che si possa trovare tra i contrabbassisti italiani. Spera è ormai una formidabile ed eclettica macchina di suoni. La sua memoria della total improvisation non svanisce: si ritrova nel continuo cercare frasi e non solo battiti.