Non è un caso che Giovanni Testori venga oggi così di frequente messo in scena, per merito dell’Associazione Testori che ha rilevato e ne sorveglia i diritti. Ecco allora Edipus ala estrema e punto di svolta della drammaturgia testoriana, di cui Roberto Trifirò coglie oggi nella sua rigorosa interpretazione i valori più attuali, senza sminuirne né l’inventiva linguistica né il cortocircuito narrativo che fa oscillare l’azione tra finzione e realtà. L’attore fa emergere la lezione pirandelliana spesso sfiorata da Testori nel suo teatro. Un’oscillazione dunque non solo storico-temporale, ma anche di quotidianità spicciola, così presente nella sua topografia narrativa e teatrale: con il capocomico abbandonato da tutti sia nella scena che nella vita, e costretto a lavorare da solo interpretando tutti i personaggi della tragedia sofoclea. Al contorsionismo della parola Trifirò oppone e integra movimenti da clownerie beckettiane che abbagliano il triste e malinconico destino che lo attende. A Edipus, nato scarrozzante, emarginato dalla follia del suo tempo, non basta più la denuncia, come ammoniva lo stesso Testori nei suoi corsivi polemici, «ereditati» sul Corriere alla morte di Pasolini.