Nazionalizzare la rete autostradale, sì o no? Come fosse un intrattenimento estivo, la questione divide il governo. I Cinque stelle sono orientati per il sì (in teoria) e i leghisti per il no (con qualche dubbio). Il ministro Toninelli apre la giornata dicendo che «conviene nazionalizzare», il vicepremier Salvini pare disponibile: «Studiando i bilanci direi di sì». Ma poi il sottosegretario Giorgetti, l’uomo che nella Lega legge i conti, dice di no perché «lo stato non sarebbe più efficiente dei privati». Il dibattito non fa un passo in avanti e nasconde la sostanza del problema. Lo stesso Giorgetti, lette le dichiarazioni di Salvini, dice che se ne può parlare ma «prima di nazionalizzare, bisogna revocare». Dunque siamo ancora lì, alla lunga e complicata procedura di decadenza della convenzione, partita solo ieri con la consegna ad Autostrade della lettera di contestazione firmata dall’organismo di vigilanza del Mit. La decadenza deve passare per l’accertamento delle responsabilità nel crollo, ed escludendo l’ipotesi di un accordo tra le due parti (stato e concessionaria) sulle conclusioni delle commissioni tecniche, passerà anche per una battaglia legale. Con lo stato che rischia ancora di dover pagare un indennizzo di oltre dieci miliardi.

Nel frattempo si discute sul passato, su come si è arrivati al sistema italiano in cui i concessionari della rete Autostradale incassano grosse rendite, senza garantire un servizio sufficientemente sicuro e di qualità. Il Pd ha incastrato Salvini al suo voto favorevole del maggio 2008, quando passò in parlamento la norma «salva Benetton», che in pratica garantì al concessionario un aumento costante delle tariffe al casello. Salvini ha detto di non ricordare (ma i tabulati della camera non mentono), poi ha aggiunto che nel caso fu «un errore» e che comunque «chi quelle concessioni ha firmato e prorogato dovrebbe stare in silenzio». Il punto è che il leader della Lega non può proprio atteggiarsi a avversario dei concessionari autostradali, perché quello del maggio 2009 non fu l’unico voto favorevole della Lega. Ne seguirono rapidamente altri due.

Per ricostruire la storia, bisogna ricordare che quel 2008 si era aperto con le forti critiche del commissario europeo al mercato interno al sistema italiano delle concessioni. A Bruxelles non andava bene che per la legge italiana (uno dei primi atti del secondo governo Prodi nel 2006) lo stato si riservasse il diritto di rivedere unilateralmente il regime tariffario, i pedaggi. Prodi assicurò che sarebbe intervenuto, anche per evitare le sanzioni, e del resto era stato il suo ministro (Di Pietro) a concludere nel 2007 la convenzione unica più importante, quella con Autostrade, nella quale sugli aumenti automatici delle tariffe si accontentava il concessionario. Ma il governo Prodi cadde nel febbraio 2008 e così fu il governo Berlusconi a estendere per legge quel sistema a tutte le altre concessioni, con un emendamento inserito nell’ultimo decreto del precedente governo. Il Pd, nel frattempo passato all’opposizione, votò contro. La Lega (e Salvini), al governo con Berlusconi, a favore.

E non fu certo una svista, tant’è vero che un anno dopo il Carroccio concesse il bis in parlamento, dove ancora sedeva Salvini prima di conquistare un seggio nelle elezioni europee. La legge promulgata il 6 giugno 2008, infatti, conteneva anche una sanatoria generale di tutti gli «schemi di convenzione» firmati prima della data di emanazione del decreto originario (quello di Prodi), l’8 aprile 2008. A cominciare innanzitutto dalla convenzione unica con Autostrade. Restavano però fuori diversi altri concessionari, che firmarono dopo e si fecero valere. All’epoca il presidente della commissione bilancio di Montecitorio era Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario di oggi. Nella legge finanziaria del 2009 fu inserito un comma (articolo 2 comma 202) che consentì l’approvazione di tutte le successive convenzioni, fino al 31 dicembre 2009. Alcune importantissime, come quella per i 300 km dell’autostrada dei parchi. In totale circa altri mille chilometri di concessioni, un sesto della rete totale. E ancora non era finita, perché il governo Berlusconi, con il sì della Lega (anche se Salvini a quel punto era già voltato a Bruxelles) nel luglio del 2010 fece passare un’altra legge (decreto 78/2010 articolo 47) che approvò altre due concessioni last minute, firmate nello stesso 2010: quella per l’autocamionale della Cisa e quella delle autostrade venete Cav. Un tradizionale feudo leghista.