La musica giunse in Europa 40mila anni fa, in sincrono con i primi passi di uomini moderni che già amavano suonare e cantare, figuriamoci ciò che sarebbero stati in grado di fare nel lontano futuro dei greci e dei romani. «Eppure, quando parliamo di arte classica, ci limitiamo a discutere di pittura, scultura, letteratura. Davamo per scontata l’impossibilità di ricostruire le composizioni greche, semplicemente perché ci restava soltanto un piccolo frammento di notazione musicale», dice Emiliano Li Castro, l’ideatore dell’European Music Archaeology Project: il gruppo di lavoro interdisciplinare capace di sanare una delle lacune più significative nella conoscenza delle nostre radici.

SI È APPENA INAUGURATA a Roma, presso l’ex Cartiera Latina all’interno del Parco dell’Appia Antica, organizzata dalla Regione Lazio, la mostra Archæomusica (visitabile fino all’11 dicembre), terminale interattivo delle ricerche e delle ricostruzioni realizzate dal team dell’Emap, che ha coinvolto dieci istituzioni di sette diversi paesi europei, coordinati dal comune di Tarquinia. L’esposizione, allestita già in Svezia, Spagna e Slovenia, arriva a Roma dove dispiega il suo potenziale evocativo in tre sale (poi andrà in Spagna e in Slovenia). Ci saranno «I suoni primordiali dell’Umanità», per ascoltare l’Età della Pietra; «Gli Strumenti attraverso i secoli», per riflettere su come flauti, trombe e tamburi fossero simili in luoghi e tempi distanti, e la «Musica per gli Uomini e Musica per gli Dei», per assaporare il romanzo sentimentale dei suoni.

All’ingresso si incontra la copia, stampata in 3D dall’originale stele in marmo eretta da Seikilos dell’unica melodia greca superstite. Rinvenuta a Tralles (Turchia), è datata alla prima metà del II secolo d.C. «Non ti affliggere per nessun motivo. La vita dura poco e il tempo si prende il suo tributo», si cantava.

tamburo a frizione (made by A¦èke Egevad - photo Jens Egevad)
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Profili luminosi di mani, i pittogrammi più celebri della preistoria invitano i visitatori a avvicinarvi i propri palmi, mettendo così in azione i pixel che riproducono i suoni di mondi perduti. Sono le sonorità ancestrali attivate dai monoliti dell’installazione Tactus, realizzata da Alberto Morelli e Stefano Scarani, del collettivo Tangatamanu. «Toccare è un gesto naturale e universale. Quel che suggeriamo è di tenere una mano aperta sulla convivialità, pronta a produrre musica interagendo non solo con oggetti ma anche con altre persone disposte alla condivisione», spiega Scarani. «Le sonorità sono raggruppate per epoche e tipologie: percussioni e flauti preistorici; archi sciamanici; corni, auloi e lituus». In origine, la musica era natura. Per sperimentare, nella Cartiera Latina si possono percuotere gong di pietra con ossa di cervo e osservare una collezione di ossi sonanti di mammut trovati in Ucraina, dipinti con linee rosse a zigzag, e robuste conchiglie.

«IN TIBET le conchiglie fossili simboleggiano l’insegnamento del Dharma», racconta Morelli. «I monaci buddisti, per richiamare i confratelli, continuano a suonare le dung-dkar: conchiglie bianche la cui spirale si avvolge in senso orario. E a Colla di Brugneto, in provincia di Piacenza, si prepara ancora la Cassinella, un tronco rivestito di fascine e paglia cui viene dato fuoco nella notte della prima domenica di quaresima, mentre risuonano proprio delle conchiglie».

John Kenny & Loughnashade trumpet (photo Francesco Marano)
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PER «ARCHÆOMUSICA» sono stati ricostruiti strumenti in scala reale partendo dai pochi ritrovamenti e dalle raffigurazioni iconografiche. Spicca, nel catalogo, l’organo idraulico: l’hydraulis ricostruito da Justus Willberg. «Sembrerebbe sia stato inventato da un greco di Alessandria d’Egitto», spiega Luca Gufi, project manager di Emap. «I romani lo utilizzavano come sottofondo per gli spettacoli gladiatori e, nel formato ridotto, per una sorta di musica da camera nelle ville private. L’aria era pompata da due schiavi in un serbatoio d’acqua, per mantenere costante la pressione e azionare un meccanismo idraulico. In alto, sedeva il musicista. L’organo in mostra, di epoca imperiale, è stato intagliato in legno di quercia e pruno prendendo spunto da resti identificati a Aquincum, l’attuale Budapest».

Justus Willberg + organo hydraulis + E Lica

 

 

 

Tra le ricostruzioni virtuali, affascina la Porta del Suono prodotta da Rupert Till, dell’università britannica di Huddersfield, che consente l’esplorazione di luoghi mitici della cultura europea: Stonehenge, con il canto degli uccelli e le note di un flauto in osso di gru; il teatro romano di Paphos, dove riecheggiano gli auloi; le grotte spagnole della Cantabria e delle Asturie, piene delle vibrazioni di corni di mucca e clarinetti in ossa d’avvoltoio.

INTERESSANTE, Infine, la proiezione di cortometraggi girati dal Conservatorio Reale scozzese di Glasgow, che mostrano le fasi di lavoro necessarie alla clonazione di alcuni tra gli strumenti musicali esposti: il corno di Loughnashade, trovato a pezzi nel 1794 in una palude irlandese, e il carnyx celtico di Tintignac, ricostruito da Jean Boisserie sulla base di frammenti rinvenuti nel 2004 in Aquitania.