Svolgendo uno dei miei mestieri preferiti, quello della flâneuse, mi capita di incontrare spesso per le vie della città padri a passeggio con figli piccoli. Molti di loro spingono il passeggino, tengono i bambini per mano o a cavalluccio sulle spalle, sono attenti e amorevoli, si dividono equamente i compiti con la moglie o la compagna. Però c’è un però. Non sanno dire di no ai pargoli. O meglio, lo dicono, ma con una tale mollezza che, alla fine, è come se dicessero sì. Mi hanno colpito in particolare alcune coppie con due figli, maschio e femmina, in cui la bambina ha circa sei anni e il maschio è sui quattro. In tutti i casi che ho osservato le modalità di relazione familiare si sono ripetute identiche. Eccole.
Il gruppo entra in un locale, la madre avanza con la figlia, il padre resta indietro a occuparsi del bambino e dei suoi vari capricci che vanno dal voler restare seduto sui gradini esterni, voler portare dentro il locale la bicicletta, infilarsi in ogni pertugio perché gli piace esplorare. La madre intanto va al banco e decide con la figlia più grande che cosa prendere. Se la bambina dice: «Non ho voglia di niente», la madre insiste e giù a proporre: «Ma non vuoi nemmeno un biscottino? E un succo di frutta? E quella brioche piccolina?». La figlia sicurissima decide che sta bene così, ma la madre le prende lo stesso qualcosa.

INTANTO il padre resta indietro a osservare il figlio che ne inventa una ogni secondo. Prima non vuole entrare, poi entra, poi esce di nuovo per accarezzare il sellino, apre la porta, tenta di portare con sè il biciclo, lo molla, rientra, riesce, ci riprova, rimolla la bici, entra di nuovo, chiude la porta, apre la porta, allora lui lo ricciuffa, quello si infila dietro il bancone del bar, lui lo tira fuori, l’altro entra nello sgabuzzino delle scope, lui lo blocca, il pargolo infila la porta del retro. In tutto questo vai e vieni il padre dice molti «No, dai, non fare così», ma quasi inudibili e quindi inutili.

QUANDO finalmente tutti riescono a sistemarsi a un tavolo, a un certo punto si sente la bambina che dice: «Attenti, Filippo sta uscendo. Ha preso la bicicletta. Striscia per terra». A questi allarmi il padre si alza, recupera il monello e nulla gli dice, se non il solito e moscio «No». È davvero curiosa, e un po’ inquietante, questa dinamica dove la bambina sente già di doversi assumere il ruolo della voce saggia che non dà noie e, anzi, lancia i campanelli di allarme per le bizze di un fratello minore, e maschio.

SULLA via dell’uscita, quasi sempre c’è un altro avventore che dice ai genitori: «Ma che bel bambino. E com’è vivace». Lì il padre si inorgoglise e risponde: «Eh sì, a casa abbiamo dovuto mettere tutto in alto sennò ce la smonta». Confondono, questi padri così ammodo, la sacrosanta libertà di esplorazione con l’autorizzazione a fare ciò che piace ovunque e con chiunque, scambiano la molla della curiosità dei figli con la prepotenza dell’imporsi, interpretano le loro inziative anche disturbanti come un vessillo di unicità e carattere dimostrando di essere loro, i padri, i primi a non credere ai No che dicono.
Bisognerebbe ricordarsi che i bambini sono come spugne che vedono e capiscono tutto. Si accorgono in fretta se un genitore è consenziente, distratto, attento, permissivo, passivo, ingiusto, castrante, superficiale, discriminante, reificante e reagiscono di conseguenza. Al primo No vi hanno già fatto la radiografia. Per tutto ciò ammiro quelli che hanno il coraggio di fare figli, e capisco quelli che non li vogliono. Ma se li fate, siatene all’altezza. E buon lavoro.

mariangela.mianiti@gmail.com