Non mi ricordavo più che i dieci, quindici minuti prima dell’inizio del lavoro sono un momento tra i più piacevoli della giornata che scorre nel luogo di lavoro. Ci sono quelli che arrivano all’ultimo momento, ma in sei-sette, non sempre gli stessi, ci si ritrova per chiacchierare di quel che viene attorno ad uno dei tavoli del cortile interno, protetto da un bell’ombrellone, gli stessi tavoli che poi verranno occupati dai frequentatori della biblioteca Ariostea di Ferrara, in particolare studenti.

Questo piccolo ritaglio di tempo non è certamente l’unico momento di socialità e relazione che incontro nella mia situazione lavorativa. Anzi, stare in rapporto con il “pubblico” che viene a chiedere in prestito i libri, oltre a farti sentire parte di una catena che produce ed eroga un bene comune, ha in sé un contenuto di relazione, direi costitutivo di quel ruolo lavorativo. Anche se poco riconosciuto, a volte persino negletto, sempre insidiato da una logica produttivistica che troppe volte si riduce a misurare la produzione e diffusione di cultura in termini di numero di libri prestati e di numero di presenze giornaliere nella biblioteca.

L’altro giorno ho “perso” un po’ di tempo a discutere con una lettrice appassionata di letteratura giapponese di un bel libro di Murakami Haruki, L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio. Me lo sono potuto permettere perché eravamo in un momento di relativa calma dell’affluenza in biblioteca, ma mi è venuto di pensare che, senza quel “tempo perso”, probabilmente quella signora non sarebbe uscita da Palazzo Paradiso con l’aria complice e un sorriso.

La chiacchierata mattutina spazia: Roberta descrive divertita il colore dei capelli delle studentesse, dal bluette molto di moda, al fucsia; Antonio ci mette al corrente di alcune discoteche della provincia in cui «non si va solo per ballare», Giuliana racconta la gioia d’essere diventata nonna per la seconda volta. Poi, Annalisa parla dei nostri contratti, bloccati da 5 anni. Per i prossimi non andrà meglio, in più adesso Renzi vuole togliere anche l’articolo 18. Una chiacchiera di 5 minuti, con opinioni diverse. E’ ora di “attaccare”. Solo un’ultima battuta, di Annalisa: «Comunque alla manifestazione del marzo 2002 della Cgil io c’ero, e mi sembrava che quel giorno ci fossimo davvero tutti, tutti i lavori e tutti i diritti».

Renzi ha annunciato che il lavoro deve ridiventare una merce: questo è il cuore della questione dell’abolizione dell’art. 18. Il mercato è l’unico dispositivo regolatore dei rapporti sociali, il salario è il prezzo della forza-lavoro, le persone soggetti individuali a cui il mercato saprà riconoscere il merito. Al massimo, la frantumazione individuale concede la possibilità di organizzarsi come associazioni corporative, l’una contro l’altra, affidando alla politica un ruolo di costruzione e ripetizione di un messaggio propagandistico, con i mezzi di comunicazione di massa parte organica, sia pure in modo dialettico, del sistema politico.

Vanno benissimo le manifestazioni annunciate ma è necessario uno scatto nell’iniziativa sindacale per rilanciare un’idea di unificazione del mondo del lavoro capace di rimettere insieme le ragioni dei lavoratori dei settori privati, di quelli pubblici e di quelli, in particolare giovani, condannati alla precarietà permanente. Una sfida che mette in discussione scelte e approcci culturali che hanno fatto arretrare la Cgil da questa frontiera ormai da troppi anni.

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