Solo sei giorni fa la Corte d’appello di Roma – perché il governo italiano aveva sfacciatamente fatto ricorso alla sentenza di primo grado – ha condannato il ministero della difesa al risarcimento di un milione e mezzo di euro per condotta omissiva per non avere protetto adeguatamente il militare Salvatore Vacca, morto nel 1999 a 23 anni di leucemia contratta dopo l’esposizione a munizioni e materiali tossici durante la missione nei Balcani (in Bosnia). Una condotta omissiva che, per i giudici, «configura una violazione di natura colposa delle prescrizioni imposte non solo dalla legge, dai regolamenti di comune prudenza». L’omissione riguarda l’esposizione a scorie di uranio impoverito componente delle bombe impiegate nei primi bombardamenti aerei della Nato nei Balcani, dal 1994 al 1999.

La sentenza della Corte d’appello di Roma stabilisce un evidente nesso casuale tra la malattia e l’esposizione ad agenti tossici nel corso del servizio in Bosnia; sottolineato dal fatto che nel corpo del militare 22enne, morto di leucemia linfoblastica acuta, sono state rintracciate svariate particelle di metalli pesanti non presenti normalmente nell’uomo; e questo, hanno scritto i magistrati, è «la conferma definitiva del reale assorbimento nel sistema linfatico di metalli derivanti dall’inalazione o dall’ingestione da parte del militare nella zona operativa».

Un rischio «totalmente non valutato dal comando militare». Una sentenza unica nel suo genere, si parla infatti di omicidio colposo. Che in realtà è una strage. Perché i militari italiani – ma anche tanti civili bombardati – morti per uranio impoverito risultano ad oggi ben 333, e 3.600 quelli ammalati, tanti i soldati semplici, i graduati, appartenenti a tutti i corpi, dalla Brigata Sassari alla quale apparteneva Salvatore Vacca, ai fucilieri di Marina del Battaglione San Marco. Lo stesso dei due marò.

Siamo particolarmente sensibili all’argomento: il manifesto 15 anni fa, in piena solitudine, denunciò con una lunga campagna (ripresa perfino da Striscia la Notizia) l’uso dell’uranio impoverito nelle tante guerre all’Iraq, che avvelenarono e uccisero tanti soldati americani, ma soprattutto tanti civili iracheni bombardati dei quali nessuno ha mai parlato.

Ora il governo italiano annuncia il rilascio da parte di New Delhi di Salvatore Girone per tutta la durata del procedimento arbitrale. Manco a farlo apposta, in piena campagna elettoral-referendaria, il marò sarà ricevuto a Palazzo Chigi il 2 giugno, mentre la destra chiede addirittura che sfili nell’inutile parata ai Fori. Mentre si preferisce non parlare dei soldati e dei marò morti per uranio impoverito perché impegnati nella tante «guerre umanitarie» nostrane vecchie e nuove, nonostante l’articolo 11 della Costituzione. Invece diventano eroi i «due marò» che con la loro drammatica vicenda si sono trasformati in una specie di patrio lutto militar-collettivo. Il lutto naturalmente non si addice a Valentine Jalastine e Ajesh Pinku, i due pescatori indiani uccisi, perché si sa la vita di due pescatori, a qualsiasi latitudine appartengano, vale meno di zero. Perché, che i due lavoratori del mare indiani siano stati uccisi è incontrovertibile.

Come il fatto che, dalle prime testimonianze rilasciate alle autorità di polizia del Kerala dagli stessi marò poi trattenuti in India, la pattuglia armata fino ai denti di scorta al mercantile Enrica Lexie – secondo una legge voluta dall’intrepido Ignazio La Russa e votata bipartisan – fece fuoco per avere visto movimenti di armi sul naviglio di pescatori. O quelle morti vanno attribuite ad un delitto passionale?

Anche noi siamo sensibili e contrari alle detenzioni prolungate senza processo. Bene quindi che Massimiliano Latorre sia già in Italia con un permesso speciale per gravi motivi di salute fino al 30 settembre, e che rientri Girone, entrambi almeno sotto le condizioni della giustizia indiana. Perché rifiutiamo anche per i militari italiani quell’impunità che è stata invece garantita a militari Usa per tragedie come il Cermis e il caso Lozano per Giuliana Sgrena e Nicola Calipari. Ma per favore, se abbiamo tanto a cuore la sorte dei soldati italiani, invitiamo a Palazzo Chigi e facciamo «sfilare», se non altro nella nostra cattiva coscienza e memoria nazionale, le famiglie dei soldati e dei marò morti per uranio impoverito. E quelle, cancellate, delle vittime civili dei tanti nostri bombardamenti «umanitari».