La presenza di Simone è stata costante negli ultimi 42 anni della mia vita in tutta la gamma infinita dei sensi e dei sentimenti. Un grande uccello nero solitario ha sorvolato longitudinalmente lo spazio assolato e metafisico dell’esterno del teatro India durante il funerale di Simone, l’ho seguito con lo sguardo lungo tutto il suo volo libero e maestoso, era Simone che volava via o la morte stessa che lo trasportava sulle sue ali. Sempre più in alto nel cielo azzurro, è passato sopra le nostre teste, lentamente, elegante, indisturbato, uscito di scena prima degli applausi, a sorpresa, un coup de theatre, un segno, una linea in movimento, un addio silenzioso. Non so quanti dei presenti se ne sono accorti, cominciava a fare caldo sulla gettata di cemento che ha sostituito i ghiaino dell’esterno del teatro India, che non so per quale scellerata e autopunitiva scelta è stato distrutto: abbattuto il piccolo bar con la biglietteria, abbattuto il piccolo palcoscenico rialzato di mattoni con la sua copertura di legno; uno spazio rettangolare vuoto e desolato, surreale e senza senso, che, per assurdo, ha goduto di un soffio di vita ospitando un funerale che lo ha trasformato, dandogli una strana bellezza, in un tempio postatomico senza altare né icone, scenografia per una tenera, affettuosa, commossa, calda, dolorante performance di saluto. Alle 14e 50 Simone lasciava in anticipo il suo funerale. Nel centro dello spazio assolato una sedia vuota, come in «Autodiffamazione». Ciao Simone buon viaggio.

(Pubblichiamo qui di seguito una parte dell’intervista realizzata da Alessandra Vanzi su Alias del 1 nvembre 2014, «Castelporziano, quei tre giorni sulla spiaggia», in cui Simone Carella racconta il primo festival internazionale dei poeti organizzato nel 1979 sulla spiaggia di Ostia)

Incontro Simone Carella che è un vecchio amico e che ha avuto grande parte nel mio percorso teatrale. Simone era il direttore artistico del Beat72, la cantina più d’avanguardia di Roma, quando venne a vedere le nostre prove della Rivolta degli oggetti (da Majakovski), mio primo spettacolo. Avevo 20 anni, non lo conoscevo e m’intimidiva l’idea del suo giudizio, poi cominciammo e Simone, dopo un po’, si mise a spostare i pochi fari che c’erano nello studio di vicolo del Moro, seguendo con le luci i nostri corpi in movimento, dandoci stimoli e direzioni, alla fine della «prova-improvvisazione», soddisfatto, ci invitò a debuttare al Beat72. Così è nata nel lontano 1976 la Gaia Scienza, oltre a me, composta da Marco Solari, Giorgio Barberio Corsetti, Domenico Bianchi e Gianni Dessì. Da allora, per parecchi anni, siamo stati coinvolti nelle iniziative di Simone, tra le tante, Castelporziano è indimenticabile per me che facevo il servizio d’ordine gomito a gomito con i miei miti e insieme a loro crollai quando il palco s’accasciò sulla sabbia.

Come ti è venuta l’idea di fare il festival dei poeti a Castelporziano?

Per parlare di questo dobbiamo vedere quello che succedeva in quegli anni, penso, quindi agli anni ‘77, ‘78, ‘79 , specialmente a Roma nel ’77 c’è stato un movimento contestatore di massa, rivoluzionario, che ha coinvolto migliaia di studenti; si sono aperte tante situazioni di socialità alternativa, i centri sociali nascono in quegli anni, naturalmente tutto questo convergeva e aveva la sua fonte nelle lotte degli studenti dell’università, ma, contemporaneamente, c’era un movimento culturale molto vivace, anche quello si può dire alternativo, emergente, che si legava alle tematiche dell’underground, musica, teatro, letteratura. In quegli anni era dominante nella situazione romana l’attività del Beat 72, che tra le cantine che si erano affermate era quella che aveva una maggiore versatilità e originalità di programmazione, perché, non a caso, la dirigevo io, poi, naturalmente mi sono sempre circondato di persone che ho coinvolto nel lavoro artistico e di programmazione per quel che riguardava il teatro, la musica e la poesia, persone che avevano la stessa idea, lo stesso concetto, verso motivi e temi dell’avanguardia, là dove un tema d’avanguardia non è soltanto un tema culturale ma anche un tema etico, nel senso che è un modo di vivere, di stare insieme agli altri, di discutere…Quello che succedeva in teatro era successo in poesia molto prima, appunto nel ’63; quindi cominciammo ad affrontare il discorso sulla poesia, ma la poesia come? I poeti soprattutto. Io metto sempre l’accento sul fatto che nella poesia la cosa più importante sono i poeti, sono le persone, come nel teatro è il corpo dell’attore, l’oggetto-corpo. In quegli anni è stato pubblicato Il pubblico della poesia, un’antologia di nuovi poeti, nati dopo la generazione del gruppo 63 curata da Franco Cordelli e Alfonso Berardinelli, c’erano i poeti emergenti di quegli anni (‘75), che così vennero «antologizzati»: Dario Bellezza, Cesare Viviani, Maurizio Cucchi, Valentino Zeichen, tutti tra i venti e i trent’anni.

Mi ricordo le serate di poesia del Beat 72 a cui partecipammo anche noi della Gaia scienza

Sì, appunto, da quell’antologia ci venne l’idea, insieme a Cordelli, di presentare questi poeti…La spettacolarizzazione della poesia gli americani già la facevano e anche i russi con grandi reading a cui partecipavano diecimila persone. In America invece i readings si svolgevano per strada alle manifestazioni di protesta e non dimentichiamo che Howl (Urlo) di Allen Ginsberg è stato recitato per la prima volta nella libreria di Ferlinghetti già negli anni ’50. In Italia questo non era mai avvenuto, però, contemporaneamente in Italia si stavano sviluppando altri movimenti, c’era stato Parco Lambro, un momento di aggregazione. Certo a Parco Lambro non c’era un soggetto coagulante e quindi erano tre giorni di festa e musica per stare insieme, c’era stato Woodstock. E poi non dimentichiamo, fondamentale, che nel ‘75/’76 alle elezioni vince la sinistra, Argan diventa sindaco di Roma e arriva Nicolini. Insomma tante coincidenze, bisogna andare a cercarsele naturalmente, che fanno di Roma un centro propulsore di idee e tematiche, di cultura e politica, cultura e società, cultura e movimento ecc. ecc…. quindi anche noi, noi Beat 72, io, insomma,dico dobbiamo fare un festival di poesia… Naturalmente raccogliendo all’inizio un po’ di scetticismo: «ma ti pare che viene Ginsberg, che viene Corso, che viene Borroughs…» e invece sono venuti. Da questo punto di vista la scommessa era puntare molto alto, il fatto è che bisogna puntare sui propri desideri, io desideravo toccarli i poeti, c’è sempre quest’idea del corpo, io desideravo toccare Ginsberg, Borroughs, non solo leggere le loro poesie.