Gimillan, frazione di Cogne, è un osservatorio privilegiato sui cambiamenti climatici. Il trend di come sarà il futuro è scolpito sulle pareti del massiccio del Gran Paradiso o, meglio, del Ghiacciaio della Tribolazione, un’indispensabile riserva di acqua dolce, che arretrando, «tribola» davvero, nonostante appaia sempre maestoso se ci si affaccia su questo balcone naturale delle Alpi occidentali. Siamo in Valle d’Aosta e qui, a quasi 1.800 metri d’altezza, Giorgio Elter coltiva con passione – basandosi sui principi dell’agricoltura biologica – i suoi campi: piante aromatiche, piccoli frutti e ortaggi di stagione. «Ricordo che da bambino raccoglievo ceste piene di lamponi. Ora, che li coltivo, non è più così. Ed è dovuto al fatto che, a fine inverno e a inizio primavera, sono frequenti temperature calde precoci, che fanno germogliare la pianta, come è accaduto lo scorso anno. A fine febbraio, c’erano venti gradi e al venti di aprile si era verificata una gelata, fenomeno normale ma la vegetazione era già a un punto avanzato, e così era andato tutto a monte. Non ho raccolto neanche un lampone, passando da sei quintali del 2016 a zero».

Questo è solo uno dei motivi per cui lui e la sua famiglia hanno deciso di ricorrere alla Corte di Giustizia europea contro il Parlamento e il Consiglio europei per denunciare l’inadeguatezza del target di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030. In questa iniziativa legale si sono associati ad altre nove famiglie: sette europee (Portogallo, Francia, Germania, Romania e Svezia), una del Kenya e una delle Isole Figi.

«L’iniziativa è partita da una ong tedesca, Protect Planet, che fa parte del Can, Climate action network, un insieme di organizzazioni ambientaliste tra cui Legambiente, che sostengono la campagna. Hanno messo a disposizione un pool di avvocati e finanziato le spese. Ne ho parlato a casa, quando mi è stata proposta a metà gennaio, e abbiamo deciso di partecipare».

Giorgio, 53 anni e una laurea in scienze forestali conseguita a Torino («ma non volevo rimanere in città»), ha una moglie e quattro figli, dai 23 ai 17 anni, riflette: «Un po’ di responsabilità la sento, se penso a come la mia generazione ha maltrattato il pianeta. Quando ereditammo questo mondo da padri e nonni, dovevamo tramandarlo nel migliore dei modi ai nostri figli. Invece, abbiamo causato un inquinamento diffuso. Con il cambio di temperature non so se i miei figli tra vent’anni potranno lavorare ancora qui».

Oltre a gestire l’azienda agricola Le Motte, nata nel 2007 dal recupero di campi abbandonati, ha un piccolo bed and breakfast che si rivolge agli amanti della montagna che qui a Cogne sono anche amanti del ghiaccio.

«D’inverno il turismo vive su due attività principali, sci di fondo e cascate di ghiaccio, siamo infatti uno dei luoghi più famosi al mondo per arrampicate su cascate di ghiaccio. Lo scorso anno, dopo la siccità estiva, molte cascate non si sono formate, con temperature alte può diventare pericoloso arrampicarsi. Si svolge una gran fondo di 45 chilometri conosciuta come “Marcia Gran Paradiso”, per 35 anni è stata annullata una sola volta per mancanza di neve; negli ultimi cinque anni ben due volte, una terza ci si è andati vicini; sono fatti che insospettiscono».

I ricorrenti ritengono che la riduzione delle emissioni nazionali di gas serra di un minimo del 40%, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2030 sia inadeguata a far fronte alla concreta necessità di prevenire il rischio climatico e insufficiente a proteggere i loro diritti fondamentali di vita, salute, occupazione e proprietà. Sostengono che, rispetto a quanto sancito dal diritto europeo e internazionale, questo obiettivo di riduzione sia troppo basso e sottolineano che l’Unione ha il dovere legale di non causare danni e di proteggere i diritti fondamentali dei suoi cittadini. Cosa che non sta facendo.

Chiedono, allora, alla Corte di sancire che la questione del cambiamento climatico ricada nella sfera dei diritti umani e che la Ue abbia la responsabilità di proteggere i loro diritti, quelli dei loro figli e delle future generazioni. Il 24 maggio c’è stato il lancio europeo dell’iniziativa. Sul sito tutte le informazioni.

Per arrivare a Gimillan bisogna salire sopra Cogne e, dopo alcuni tornanti, si giunge in questa frazione che guarda negli occhi il Gran Paradiso, attraversato da nuvole grandi e bianche, che lasciano intravvedere un cielo blu. Elter ha completato la pacciamatura dei cavoli, più in là c’è il rabarbaro, buono per marmellate e liquori, e le génépy, una pianta aromatica (artemisia mutellina), che in queste valli dà il nome al famosissimo liquore: «Ma patisce l’eccessivo caldo». Ecco perché necessita di maggiori cure. «Nel 2016 ho finito di lavorare la terra il 27 dicembre, nel 2017 ho iniziato l’8 marzo, quando in genere a questa altezza si lavora da aprile a ottobre. C’è un trend significativo di mutamenti nelle sequenze stagionali – racconta Giorgio – che fa sì che la programmazione diventi aleatoria. Si pensa che possano essere casi eccezionali ma il trend con temperature alterate sta diventando frequente. L’anno scorso ho avuto una perdita di produzione intorno al 30%. La nostra azione legale non chiede risarcimenti, il problema è quantificare i danni. L’obiettivo è sollecitare le istituzioni europee a prendere provvedimenti più restrittivi. Mi sento di poter rappresentare migliaia di altre situazioni, anche se non le conosco direttamente».

Quest’anno la valle di Cogne è verdissima e l’acqua è tanta ma le tendenze vanno lette sul lungo periodo. «Una cosa che mi colpisce, sommando tantissimi bollettini meteo, è la parola “troppo”. Troppo caldo, troppa pioggia, troppa poca pioggia, troppo freddo, il troppo è diventato la regola. Qualcosa di strano c’è e se questo strano è dovuto all’inquinamento che emettiamo in atmosfera penso che qualcosa si debba fare».

Elter pratica esclusivamente agricoltura biologica: «Cerco di ridurre al minimo l’apporto energetico, ridurre le concimazioni, tutto quello che diserbo manualmente rimane nel campo così l’apporto di sostanza organica diventa ciclico. Cerco di economizzare l’acqua. Il mio prodotto lo vendo a chilometro zero, o meglio a chilometri due, visto che il negozio ce l’ho in paese. Poi, ogni tanto vado al mercato dei contadini di Aosta o alla Cavallerizza Reale occupata di Torino, partecipando alle attività della rete Genuino Clandestino».

Per sostenere la decisione delle dieci famiglie di citare in giudizio i legislatori europei e la loro richiesta all’Ue, affinché tuteli i diritti fondamentali, è stata anche lanciata una petizione, che si può firmare a questo link.

La storia della famiglia Elter rientra in un mosaico complesso di famiglie le cui condizioni di vita sono messe a rischio dal cambiamento climatico. Ci sono genitori che vivono in piccole isole al largo della costa tedesca del Mare del Nord, le cui condizioni di salute, proprietà e occupazione (come l’agricoltura e i servizi turistici) sono e saranno messe in pericolo dall’innalzamento del livello del mare e dalle mareggiate che raggiungono aree più interne.

Ci sono figli e genitori che vivono nel sud della Francia e nel sud del Portogallo in difficoltà per le ondate di calore e siccità. Oppure figli e genitori che vivono nei Carpazi rumeni, i cui mezzi di sostentamento e la cui occupazione tradizionale (come l’agricoltura e la pastorizia) sono messi a repentaglio dalle temperature più elevate e dalla penuria di acqua. E, infine, figli e genitori, che vivono nel Kenya settentrionale, la cui salute e istruzione sono danneggiate dalla siccità e dalla desertificazione. Pensare globalmente, agire localmente, si diceva un tempo.