Dopo esser stato il primo festival internazionale l’anno passato a sperimentare il cinema in presenza, quest’anno Cinema Ritrovato rilancia col solito programma super-nutrito e un’escursione nel tempo e nello spazio che offre qualcosa a tutti i potenziali spettatori, compresi i bimbi. Basta menzionare alcune delle molteplici sezioni per farsi un’idea dell’ampiezza dello sguardo: dagli omaggi a Romy Schneider e Aldo Fabrizi a cinque film scritti dal geniale Herman Mankiewicz (che fungeva più che altro da script doctor, per cui non sono molti i film a lui accreditati) ma è l’autore (della sceneggiatura) di Quarto potere di Welles, come tutti ormai sappiamo dopo il film di David Finch, alle variegate regie di George Stevens e dello scomodo regista tedesco Wolfgang Staudte, ai preziosi frammenti della collezione Komiya, frutto della passione di un cinefilo giapponese che amava soprattutto il cinema europeo al laborioso restauro di My Cousin, film muto che vede Enrico Caruso come attore.
Una selezione è dedicata a donne registe di ogni continente come la portoghese Bárbara Virgínia che racconta la vita in un orfanotrofio, Márta Mészáros con il suo primo film, Eltávozott nap, su una ragazza ribelle nel 1968 ungherese, il film sperimentale sulle lotte delle lavoratrici immigrate in Francia Ali au pays des merveilles di Djouhra Abouda e Alain Bonnamy, Ostatni etap di Wanda Jakubowska sui campi di concentramento, A byahme mladi della bulgara Binka Zhelyazkova, storia d’amore durante la resistenza antinazista, il docudramma cubano De cierta manera di una giovanissima Sara Gómez, il documentario Araya di Margot Benacerraf, un lavoro della maestra del doc italiano, Cecilia Mangini, Ignoti alla città, da Ragazzi di vita di Pasolini, Sambizanga di Sarah Maldoror girato in Angola. Non si tratta di «quote rosa», ma di un cinema poetico e sociale, ovvero un «cinema libero, femminile e plurale», come si intitola la sezione. Si potrebbe integrare il gruppo con Giochi di notte dell’attrice-regista svedese Mai Zetterling, che usa la macchina da presa con occhio femminile per una storia piccante alla svedese.

IL DOCUMENTARIO è molto presente nel programma con una serie di rari materiali giapponesi, un omaggio al bolognese Mario Fantin che documentò la scalata del K2 della spedizione Desio, e non è ghettizzato in un’unica sezione, che pure esiste e comprende i film dei Rogosin, La cosa di Nanni Moretti, le lezioni universitarie di Eduardo De Filippo, Dall’Italia all’Equador (1934), del direttore della fotografia Massimo Terzano e alcuni ritratti cinematografici dedicati a Chaplin, al pioniere del cinema afro-americano Oscar Micheaux (del quale il festival propone anche Murder in Harlem da un caso realmente accaduto, che denuncia il pregiudizio razziale), al regista John Farrow, autore di notevoli pellicole, non solo padre di Mia, alla storica del cinema espressionista Lotte Eisner, alle coppie Signoret-Montand, Monroe-Miller.
Sull’asse temporale si parte coi film proposti ai bolognesi nel 1901, quando il cinema si vedeva nei tendoni degli ambulanti e le pellicole non venivano noleggiate ma comprate e chi le proiettava diventava «il regista», assemblandole secondo un suo progetto. C’erano i film «dal vero», le pellicole erotiche per le «serate nere» per soli uomini, precursori come un Quo Vadis? di Ferdinand Zecca o i pre-Griffithiani del montaggio alternato inglesi come James Williamson e ancora le riprese di un console francese in giro per la Cina.
I «100 anni fa» di quest’anno toccano al 1921 che propone film comici di Chaplin, Keaton, Fatty e Stan Laurel e Oliver Hardy; melodrammi o gialli come l’intrigante Il quadro di Osvaldo Mars di Brignone con una Salomè svergognata; Cikàni (Zingari) del ceco Karel Anton, autore dell’intenso Tonka Sibenice; il popolarissimo I figli di nessuno prima versione con Leda Gys, che fece la fortuna della napoletana Lombardo Film, quando era retta da Gustavo che di Leda era il compagno, e il cui figlio Goffredo poi ripropose alla Titanus, con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson, regia di Matarazzo; Uomini e voci del Congresso socialista di Livorno, un rarissimo documento che mostra il famoso congresso da cui nacque il PCI; The Swamp prodotto e interpretato da Sesse Hayakawa l’anno prima di dover migrare in Europa in quanto gli Stati uniti erano in preda a un’ondata di razzismo anti-orientale. Un film straordinario è Miss Lulu Bett, diretto da William deMille, fratello minore di Cecil B., molto diverso da lui in atteggiamenti politici (era più progressista) e in stile cinematografico (sobrio), tratto da una sceneggiatura della sua futura moglie, Clara Beranger, che racconta di una ragazza non sposata, che vive con la famiglia della sorella, trattata come una serva, ma che sa riscattarsi. Questo per ricordarci che molto cinema americano degli anni Venti è scritto da donne e che sviluppa un ampio spettro di personaggi, situazioni sociali e problematiche della famiglia (adolescenti, anziani, zitelle) che oggi non si vedono neppure nelle serie più «quotidiane». La sezione del 1921 comprende anche film espressionisti, il notevole Lo scoiattolo di Lubitsch che valorizza Pola Negri, il famoso Il carretto fantasma di Sjostrom e l’avanguardia con uno dei più bei film su New York, Manhatta di Paul Strand.

L’ASSE TEMPORALE del festival attraversa tutta la storia del cinema per giungere fino all’oggi con il film ecologico di Alba Rochwacher, Omelia contadina, e documentari di Bill Morrison come Buried News, che utilizza cinegiornali miracolosamente dissepolti dai ghiacci, realizzati tra il 1917 e il 1920, su questioni razziali del tempo.
Sparsi nel programma capolavori come Vampyr di Dreyer, Fedora di Billy Wilder, The Loves of Carmen di Raoul Walsh con una splendida Dolores Del Rio, Lumumba La Mort du Prophète, sull’assassinio del presidente del Congo, Il servo di Losey sceneggiato da Pinter, Kuhle Wampe Oder sceneggiato da Brecht, Erotikon, commedia matura sulla vita di coppia di Stiller, un omaggio a Segundo de Chomon, il primo grande maestro degli effetti speciali, alcuni film ritenuti perduti della ballerina Stacia Napierkowaska ritrovati al Gosfil’mofond, film italiani muti di diversi periodi orchestrati con intelligenza negli stimolanti programmi curati da Andrea Meneghelli, Insomma corsi di recupero per cinefili tardivi e sofisticate scoperte, come Les Bas-fonds un Renoir sottovalutato, La cena delle beffe, The Great Flamarion (Anthony Mann) con un Eric von Stroheim in versione noir, Gli anni migliori della nostra vita (Wyler) sulle difficoltà della rinascita post-bellica, utile lezione di saggezza in questa fase storica, Harlem di Gallone, un film di propaganda anti-americana (1943) in seguito censuratissimo ma mai purgato del suo pregiudizio razziale anti-blackness. In effetti uno dei temi impliciti del festival è quello del «colore», con la presenza di film sugli afroamericani e di registi di colore come il pioniere Van Peebles.
Donne, afroamericani, capolavori indiscussi, titoli oscuri, il mondo intero sullo schermo, film delle origini o freschi di digitalizzazione, peccato che non si possa vedere tutto.