Il bollettino della Protezione Civile ha registrato ieri 195 decessi e 1221 nuovi casi positivi di Covid-19. Il numero di persone attualmente positive torna sotto quota centomila. Sono ancora moltissimi, ma la cifra è influenzata dall’aumento dei tamponi, che ha permesso nelle ultime settimane di rintracciare un gran numero di casi con pochi sintomi. Dei 99980 casi attivi solo 1479 sono in terapia intensiva, e l’82% è a casa con sintomi moderati.

NEL GIORNO IN CUI IL NUMERO di decessi e di nuovi casi di Covid-19 in 24 ore scende ai minimi da quasi due mesi, l’Istat e l’Istituto superiore di Sanità pubblicano un rapporto che smentisce in toto i dati sui decessi forniti dalla Protezione Civile. Il numero reale di vittime di Covid-19 potrebbe essere il doppio rispetto alle cifre ufficiali. Secondo la Protezione Civile, tra il 20 febbraio e il 31 marzo le vittime di Covid-19 sono state 13.700. Ma rispetto agli anni precedenti, la mortalità generale in Italia è aumentata di oltre 25.000 decessi. Ci sono dunque 11.600 morti in più rispetto agli anni precedenti da ricondursi, direttamente o indirettamente, al Covid-19. Non avendo mai ricevuto un tampone, non rientrano tra le vittime della pandemia.

DELL’ESISTENZA di questi «morti fantasma» si avevano già prove consistenti ma geograficamente limitate ad alcune zone, come la provincia di Bergamo, dove i comuni sono più solerti nel registrare i decessi e permettere analisi tempestive. Ora l’istituto di Statistica ha messo a disposizione degli epidemiologi i dati sulla mortalità su quasi tutto il territorio nazionale (86% della popolazione) facendo emergere diversi aspetti interessanti. In primo luogo, il diverso impatto nel sud del Covid-19 non si spiega con un sistema di sorveglianza più scadente come a lungo si è temuto. Per esempio, nell’area metropolitana di Roma, dove il numero di casi di Cpvid-19 è stato limitato, la mortalità è stata effettivamente inferiore rispetto agli ultimi 5 anni del 9%. E così è andata in gran parte del centro sud. Al contrario, in alcune province del nord l’epidemia ha moltiplicato la mortalità rispetto agli anni precedenti: quasi di sette volte a Bergamo, di cinque a Cremona e Lodi, di quattro a Brescia. L’analisi Istat-Iss conferma dunque quello che era emerso in diverse inchieste e analisi.

IL SECONDO ASPETTO, interessante e forse meno indagato, riguarda le cause di morte delle 11.600 vittime «fantasma» del Covid-19. Molti di loro sono persone decedute per Covid-19 prima di ricevere un tampone quando il sistema sanitario lombardo, dalla sorveglianza alle terapie intensive, è andato in tilt. Anche molti dei numerosi decessi nelle residenze per anziani rientrano in questa categoria.

NEL CONTO PERÒ FINISCONO anche le vittime indirette, quelle che hanno evitato gli ospedali per paura del contagio e hanno perso la vita per altre patologie. Il fenomeno è stato colpevolmente trascurato almeno all’inizio e solo ora se ne intuiscono le dimensioni drammatiche, se si incrociano i dati del rapporto con altre ricerche pubblicate nelle ultime settimane.
Nello periodo 20 febbraio-31 marzo, infatti, il numero di accessi in pronto soccorso per ischemie e infarti in tutto il nord Italia è calato del 30%, secondo uno studio pubblicato sull’autorevole New England Journal of Medicine. Allo stesso tempo, le morti per arresto cardiaco sono aumentate del 60% nelle province della bassa Lombardia. Lo dimostra altro studio di prossima pubblicazione sulla stessa rivista condotto nelle province di Cremona, Pavia, Mantova e Lodi, dove i decessi per crisi cardiache sono addirittura triplicate. Conti alla mano, nella provincia che rimarrà tristemente famosa per l’epicentro di Codogno, la paura dei focolai ospedalieri ha fatto quasi più vittime dello stesso Covid-19.

I DATI ISTAT DANNO DUNQUE una dimensione realistica al fenomeno finora sottovalutato delle vittime indirette del Covid-19. Per altro, questa strage nascosta non si esaurirà con la fine dell’epidemia. Per lungo tempo, a causa del distanziamento sociale, ospedali e ambulatori pubblici e privati dovranno rallentare l’attività diagnostica, che già oggi comporta liste d’attesa lunghissime. Questo necessariamente porterà a ritardi nei trattamenti di patologie che, affrontate tempestivamente, potrebbero invece essere curate. Se non sarà garantito l’accesso a cure e diagnosi anche nella fase 2, molte altre vittime andranno addebitate sul conto del Covid-19.