I fantastici quattro, uniti insieme per una singola creazione contemporanea. È quel che hanno deciso, con un’inusuale scelta di collaborazione, la Filarmonica della Scala, il Maggio Fiorentino, l’Accademia di Santa Cecilia, le quattro grandi orchestre italiane che hanno annunciato una commissione congiunta nel 2017 al compositore ungherese Peter Eötvös, per un pezzo orchestrale. La prima stavolta sarà a Milano nel maggio 2017, cui seguiranno nella stagione 17-18 i concerti a Torino, a Roma e a Firenze, dove Eötvös è approdato la prima volta nel 1975 in veste di direttore. Le opere di Eötvös (la più nota Tre Sorelle, da Checov) e i suoi lavori sinfonici sono eseguiti in tutto il mondo e sicuramente è un nome di grande prestigio: Ernesto Schiavi, dal 2004 direttore artistico della Filarmonica della Scala che dal prossimo anno passa all’Orchestra Rai, racconta l’origine della commissione. «L’idea è nata dalla Filarmonica della Scala, in occasione di un concerto a Roma, a Santa Cecilia: abbiamo deciso di provare a mettere insieme quattro grandi entità musicali per una commissione comune a un compositore di profilo internazionale, scelta che si potrebbe ripetere ogni due anni».

Perché la scelta di Eötvös? 

È un grande artista, una figura importante che ha già avuto relazioni significative con Roma, Milano e Torino, Firenze: è perfetto per la prima commissione.

Quando è arrivato Eötvös alla Filarmonica? 

Nel 1999 approdò alla Filarmonica della Scala con una nostra commissione, Replica, un pezzo per viola e orchestra. Il rapporto si è consolidato, nel 2012 abbiamo presentato un suo brano importante, zeroPoints e l’anno scorso anno c’è stata l’ospitalità dell’Orchestra di Santa Cecilia con Speaking drums, scritto per il virtuoso delle percussioni Martin Grubinger.

Passando all’Orchestra Rai, che cosa cambierà per la nuova musica, anche pensando a questa commissione? 

Esiste già Rai Nuova Musica, rassegna di tre concerti con tante nuove creazioni, un’iniziativa ottima che deve proseguire. Porterò la mia esperienza della Filarmonica, molti pezzi contemporanei inseriti nella programmazione: proprio ieri ho riguardato una stupenda partitura di Donatoni, Fire, molto poco eseguita: accanto ai nuovi nomi c’è una generazione intera che va valorizzata: lo abbiamo fatto di recente con Maderna a Milano, ma vorrei concentrarmi anche su Niccolò Castiglioni, compositore di tratto veramente originale non sufficientemente conosciuto.

E le prossime commissioni congiunte?

Girano molti nomi, fra cui quello di Adés, ma la certezza ci sarà solamente quando saremo tutti d’accordo.
«Un processo decisionale inconsueto», come spiega Michele Dall’Ongaro, un altro degli attori in campo, presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, in precedenza sovrintendente dell’Orchestra Rai. «Abbiamo individuato una decina di compositori di riferimento, operazione che in un mondo come il nostro, globalizzato e con una pluralità di valori e riferimenti ricca ed eterogenea, ha richiesto un lavoro assai più sottile rispetto a 40 anni fa. È stato poi necessario rinunciare a quanti avevano altre commissioni in corso, per esempio Sciarrino. Eötvös per noi era perfetto, anche perché presenteremo nella prossima stagione la sua opera Senza sangue, su testo di Baricco.

L’impegno comune di quattro orchestre su una sola commissione non si può leggere anche anche una ricerca di sostegno reciproco in un passaggio difficile per la musica ‘colta’?

A me sembra il contrario: in fondo parliamo di quattro orchestre forti e stabili, che già producono tanta musica nuova. Una commissione congiunta è un fatto del tutto inedito, una sfida in cui si dialoga ma si mette anche a confronto qualità di musicisti, direttori, personalità e identità della propria organizzazione. Più che un segno di debolezza è una prova di forza.

In che senso?

È un nuovo livello di produzione culturale che spero venga testimoniato da un’edizione discografica. Oltretutto è un modo per marcare, con scelte di campo forti, l’identificazione di riferimenti musicali rilevanti per il nostro tempo. Eötvös, premiato col Leone d’Oro alla Biennale di Venezia, non ha certo bisogno del nostro riconoscimento, ma è un segnale netto, in un percorso che verrà indicato anche dalle prossime commissioni.