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Strage di migranti nel canale di Sicilia

Strage di migranti nel canale di SiciliaIl cantiere libico

Libia Quattro italiani rapiti: «Nessuna trattativa»

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 24 luglio 2015

Non c’è fine alle stragi di migranti nel Canale di Sicilia. Ieri in 120 erano partiti dalle coste libiche, sicuri di arrivare per le buone condizioni meteo. Sarebbero almeno 40, invece, i morti secondo i racconti di alcuni tra i 283 sopravvissuti, sbarcati ad Augusta, dopo essere stati soccorsi da una nave mercantile. I profughi salvati sono poi stati fatti salire a bordo della nave militare tedesca Holstein. I migranti (somali, eritrei e maliani) viaggiavano su tre gommoni: uno avrebbe iniziato ad imbarcare acqua, prima di affondare.

Il caos che dilania il paese ha effetti diretti sui flussi migratori. In particolare il tentato golpe del generale Khalifa Haftar ha favorito i traffici dei contrabbandieri che sull’asse est-ovest hanno spinto i migranti (per il 40% siriani fuggiti dal conflitto) a partire dalla Tripolitania. Per tutta la giornata di ieri sembrava che anche i quattro tecnici italiani della Bonatti (rapiti a Mellitah lunedì sulla tangenziale che collega Zwara a Sebrata) fossero finiti nelle mani degli scafisti come merce di scambio.

Il ministro dell’interno Angelino Alfano aveva subito negato qualsiasi trattativa: «Faremo di tutto per liberarli. Al momento nessuna pista può essere esclusa». In una nota si leggeva che in ogni caso il Viminale avrebbe escluso che potesse essere intavolata una trattativa con gli scafisti. Ieri erano state addirittura rese note richieste da parte dei rapitori di rilascio di alcuni contrabbandieri, detenuti nelle carceri italiane in cambio della cessione degli italiani entro dieci giorni, rivelatesi infondate. Anche il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Marco Minniti, dopo l’audizione al Copasir, aveva accreditato l’ipotesi del rapimento a scopo di estorsione per mano di criminali e non la pista del terrorismo islamico.

A contraddire ricostruzioni che vedono coinvolti trafficanti e contrabbandieri, avvallate anche dai diplomatici libici a Roma dopo la conferenza alla Farnesina dello scorso martedì alla presenza dell’inviato Onu per la Libia Bernardino Leon, ci ha pensato il premier di Tripoli, Khalifa al-Ghweil. «Considero molto scarsa la probabilità che il rapimento abbia una relazione con i trafficanti. Crediamo si tratti di criminali che vogliono turbare le nostre relazioni con l’Italia» ha dichiarato.

Non solo, il premier in pectore, che ha preso il posto del dimissionario Omar al-Hassi aprendo una lotta di potere tra gli islamisti di Tripoli, ha anche confermato che i quattro viaggiavano dalla Tunisia in Libia quando sono stati presi dai rapitori e portati nel deserto del Fezzan.

Le condizioni di sicurezza dell’area sono estremamente precarie. Le autorità tunisine hanno paventato la possibilità che venga costruito un muro tra i due paesi per fermare il flusso di jihadisti verso Tunisi. «Stiamo facendo del nostro meglio per combattere l’immigrazione clandestina», ha aggiunto al-Ghweil, in riferimento al controverso piano di Tripoli di arrestare i migranti in territorio libico prima che si imbarchino verso l’Europa. In realtà, l’obiettivo di Tripoli in questa fase è di ritagliarsi di nuovo un ruolo nel negoziato per la conclusione dell’accordo di pace dopo aver abbandonato il tavolo di mediazione in Marocco e non aver voluto firmare l’intesa, approvata da Tobruk, con la mediazione delle Nazioni unite.

Anche Tobruk ha assicurato di voler intervenire per mediare il rilascio degli italiani che, secondo l’ex agente Cia Khalifa Haftar, sarebbero in mano ai miliziani Ghesh al-Qabail (esercito delle tribù), un gruppo composto da ex soldati dell’esercito regolare. Di sicuro sarebbe nell’interesse dei miliziani di Zintan e del precario parlamento della Cirenaica mostrare di avere un ruolo nella soluzione del caso per acquisire accresciuta credibilità internazionale.

Haftar ha accordato sostegno al piano unilaterale che conferma il ruolo di capo delle forze armate libiche, duramente contrastato dalla parte dell’esercito che sostiene il Congresso di Tripoli.

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