Non si placa la mediatizzazione del terrore in corso dopo la diffusione del video (sulla cui veridicità sono stati espressi molti dubbi) della decapitazione del giornalista freelance James Foley in Iraq, per mano dei jihadisti dello Stato islamico (Isis). Ieri è stato diffuso un lungo filmato su Youtube dell’uccisione violenta di quattro uomini nel Sinai. Secondo i jihadisti del gruppo Ansar Beit al-Meqdisi (Abm), le vittime sarebbero «spie del Mossad». Nel video, come per Foley, si vedono gli aguzzini incappucciati tagliare le teste degli ostaggi. Secondo i jihadisti, le presunte «spie» avrebbero fornito informazioni di intelligence ai servizi segreti israeliani per un raid aereo avvenuto il 23 luglio scorso in cui hanno perso la vita tre combattenti di Abm.

Le quattro vittime, di cittadinanza egiziana, erano state catturate due giorni prima dai jihadisti mentre si dirigevano verso la città di Sheikh Zuwaid. I corpi dei quattro erano stati rinvenuti alla periferia di al-Arish, capoluogo del Sinai, lo scorso 20 agosto. Secondo i loro aguzzini, due degli uomini decapitati avrebbero ammesso di essere stati nelle carceri israeliane per contrabbando, gli altri due avrebbero invece confessato di aver ricevuto pagamenti dal Mossad. Abm non ha legami strutturati con i jihadisti dello Stato islamico (Isis). Tuttavia, le autorità egiziane hanno denunciato legami tra Abm e le milizie islamiste combattenti in Libia. In un video su Youtube, lo scorso dicembre, Abm aveva annunciato che la sua missione è passata dal lancio di missili contro Israele a una campagna contro le forze armate egiziane. Dopo il colpo di stato del 3 luglio 2013, la penisola del Sinai è diventata il teatro dello scontro tra milizie jihadiste e militari. Numerosi sono i casi di stranieri, fermati o rapiti, con l’accusa di spionaggio.

Ma la guerra in corso nel Sinai non è come le altre. In pochi mesi i morti sono oltre 500, tra polizia, militari e civili, mentre centinaia sono i jihadisti uccisi. Per questo, il capoluogo del Sinai, Al-Arish, è completamente militarizzato ed è in corso la costruzione di un muro di cinta intorno al centro urbano. «Si tratta di una guerra contro i civili. Ci sono certamente dei terroristi ma l’esercito persegue una punizione collettiva», ha spiegato al manifesto Ismail Alexandrani, ricercatore del Centro per i diritti economici e sociali del politico comunista Khaled Ali. Nel gennaio 2014 per la prima volta nella storia militare egiziana, l’esercito ha attaccato un aereo combattente di una milizia jihadista e non di un paese stra–niero. Da quel momento Tel Aviv ha appoggiato la «lotta al terrorismo» di Sisi, con l’assassinio in territorio egiziano di Ibrahim Awidah, leader di Abm, e il rapimento di Wael Abu Rida, leader del movimento palestinese della jihad islamica.

Il Sinai è diventata la culla di gruppi jihadisti. Uno di questi è Abm, che ha rivendicato i principali attentati dinamitardi, kamikaze e contro ufficiali dell’esercito negli ultimi mesi. La novità è l’alleanza tra questi movimenti con giovani beduini e contrabbandieri. Agli occhi della popolazione locale, i jihadisti sembrano gli unici ad opporsi all’emarginazione delle popolazioni beduine. E così Abm ha strumentalizzato lo scontro tra esercito e islamisti della Fratellanza, aumentando a dismisura i suoi affiliati e proseliti. I militari egiziani sono iperattivi anche su altri fronti. La mediazione egiziana ha prolungato i tempi per il raggiungimento di una tregua permanente tra israeliani e palestinesi dopo l’avvio dell’operazione «Margine protettivo», l’8 luglio scorso. Il presidente egiziano sta promuovendo poi il golpe dell’ex agente Cia Khalifa Haftar in Libia, fornendo anche il supporto tecnico per un intervento militare, operato dagli Emirati. Lo stesso Sisi illustrerà il suo piano per la Libia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Infine, continua il pressing egiziano sulle autorità sudanesi ed etiopi per risolvere la controversia della Diga della Rinascita. La Commissione tripartita, che si è riunita a Khartum nei giorni scorsi, ha dato il via libera a studi tecnici sull’impatto della Diga per i paesi vicini. L’avvio del progetto in Etiopia era costato durissime critiche all’ex presidente Mohammed Morsi.