Settimana fondamentale ad Hit parade! Diceva all’inizio di ogni puntata della famosa trasmissione radiofonica il compianto Lelio Luttazzi. E settimana almeno altrettanto fondamentale per la Rai. È in programma tra oggi e domani, infatti, il consiglio di amministrazione, da cui forse emergeranno alcune scelte sul riordino del servizio pubblico. E sottolineo se, cantava Mina. Appunto, visto che in questi ultimi mesi sono sì sbocciati – secondo una tardiva lezione maoista – cento fiori, ma un’opzione ancora non è emersa.

Aspettando Godot (Renzi….). Iniziative, convegni, da ultimo l’interessante «Pallacorda» promossa dal Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale della Sapienza di Roma, diretto da Mario Morcellini. Vale a dire un ciclo di cinque seminari tesi ad aggiornare il tema, liberandolo da inerzie e mere ripetizioni. Ma con quale percorso? Infatti, dopo qualche promessa del sottosegretario Giacomelli su una consultazione di massa e l’anticipazione alla fine di quest’anno il rinnovo della convenzione con lo stato, una coltre di nebbia ha avvolto le effettive intenzioni del governo. Mentre sul nodo cruciale dei servizi pubblici, retti –tra l’altro- dal trattato di Amsterdam del ’97- una parola sarebbe lecito attendersi dal semestre europeo a guida italiana. Anzi. Una ridefinizione moderna e impegnativa del servizio pubblico nell’era della Rete e delle tecniche numeriche (a quando quelle quantiche?) è necessaria per costruire la cittadinanza digitale.

Questa è la sfida. Altro che ridimensionamento del servizio pubblico, come vorrebbe la farisaica corrente privatistica. Al contrario, si tratta di «espandere» il concetto di servizio pubblico, come carta cognitiva del nuovo universo . E dentro l’area pubblica prende piede il pre-concetto del bene comune, vero traguardo della democrazia partecipata.

Ecco. Serve un salto di qualità nel dibattito, superando i mille rivoli senza sbocco che non interagiscono (almeno un blog comune, no?) e non trovano un filo conduttore. Eppure, un anno fa Articolo 21 lanciò una consultazione nelle scuole per una nuova carta d’identità per la Rai e l’associazione «MoveOn» ha lavorato per due anni attorno a un articolato normativo che domani verrà presentato alla sala stampa della camera dei deputati. Così, la felice iniziativa – ancora un po’ generica – dell’università di Roma potrebbe a sua volta divenire un riferimento. Si operi una scelta. Sempre che si voglia davvero studiare idee e progetti di sviluppo e di cambiamento coraggiosi e non – al contrario – dare luogo ad una danza della morte.

È troppo aspettarsi dal cda della Rai un piano di evoluzione dell’azienda? Un programma non recessivo: di transizione da un apparato subalterno ideologicamente alla logica partitica a una società multi-piattaforma indipendente e protagonista dell’industria culturale? Il tempo corre e il panorama mediatico è in via di rivolgimento profondo: alleanze e scelte strategiche prefigurano una foto di gruppo assai diversa dagli anni passati. A proposito, mai una volta che il governo scopra un’altra verità. Nessuna vera riforma nascerà se non si metterà mano a quel puro anagramma del potere berlusconiano che fu la legge Gasparri. Se non interverrà il parlamento, qualcuno potrebbe persino lanciare l’idea del referendum abrogativo. Insomma, la questione non sta nel difendere quel che resta di un brand, quanto piuttosto nell’avere il coraggio di pensare al futuro, come sta avvenendo ovunque.

L’Italia è sempre più l’anello debole del villaggio globale.