Il romanzo epistolare Les liaisons dangereuses (1782) di Pierre Choderlos de Laclos, che ha rivoluzionato la narrativa occidentale lavorando come nessuno prima sull’intarsio dei punti di vista dei personaggi, aperti sulla materia scottante del desiderio, della seduzione, del potere e dell’(auto) distruzione, conta numerose trasposizioni. Tra la più interessanti, la pièce Quartett (1982) di Heiner Müller, da cui è tratta l’opera omonima composta da Luca Francesconi nel 2010 per il Teatro alla Scala, che da allora è stata ospitata da 17 teatri in 7 diversi allestimenti e fino al 25 ottobre di nuovo sulle scene milanesi.
Müller riduce le geometrie del romanzo, dove tutti, carnefici e vittime, avevano voce, a una claustrofobica partita a due fra i soli carnefici, la marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont, che a un certo punto si scambiano i ruoli e danno voce anche alle loro vittime: la signora di Tourvel e Cécile de Volanges. La vicenda si svolge in una dimensione di radicale schizofrenia in cui il puro cerebrale si mescola al puro fisico, la parola fredda alla carne reificata, trasformando il corpo a corpo in un’astratta e angosciante psicomachia, dove i compiaciuti bagliori della retorica si oscurano in una disperazione irredimibile, la perversione e la brutalità strangolano la vita annientando ogni possibilità di emozione e relazione fino alla totale demolizione di sé e dell’altro.

DEL TESTO di Müller Francesconi ha colto l’aspetto della «moltiplicazione infinita di specchi dove nulla ha valore, in un delirio nichilistico e tragico» che distrugge l’identità e che può valere come «metafora dell’intera civiltà occidentale» e come pronostico del «destino del ruolo dell’arte oggi». L’orchestra, intensamente diretta da Maxime Pascal, è raddoppiata in una compagine piccola in buca, che commenta l’azione in scena, e una compagine grande dietro le quinte, che, insieme a un coro in eco, dà voce al mondo fuori scena, facendo dialogare le pulsioni dei protagonisti con una collettività virtualizzata (una risonanza lontana della realtà, sia come forza naturale, sia come rumore sociale).

IL TRATTAMENTO virtuosistico delle voci dei due protagonisti (i bravissimi Allison Cook e Robin Adams) ricorre a un ampio spettro di stili, tecniche, registri, inflessioni e timbri. Al riverbero di quanto accade in e fuori scena contribuisce anche «l’elaborazione elettronica di suoni e spazi» ottenuta grazie alla tecnologia dell’IRCAM di Parigi. La regia di Alex Ollé (La Fura dels Baus), le scene di Alfons Flores, i video di Franc Aleu, i costumi di Lluc Castells e le luci di Marco Filibeck fondono il «salotto prima della rivoluzione francese» e il «bunker dopo la terza guerra mondiale» prescritti da Müller in un parallelepipedo sospeso da terra e incastonato in una ragnatela di cavi metallici, in cui lo spettatore entra attraverso una finestra grazie alla proiezione a tutta scena di un piano sequenza aereo che cita quello iniziale di Pshyco di Hitchcock.