Bergamo è una città piena di tesori tra storia e cultura per chi sa guardare e fra questi c’è sicuramente Lab 80 film (in rete, www.lab80.it), società cooperativa nata nel 1976 che opera in diversi ambiti dell’audiovisivo – dalla distribuzione alla produzione, dalle proiezioni alle rassegne – e a cui si devono tante prime visioni d’eccezione nel nostro Paese.
Per omaggiare l’attività del gruppo – una attività che, per esempio, li vede oggi al cinema come distributori del nuovo film di Erik Gandini – abbiamo incontrato Angelo Signorelli, presidente della cooperativa e, se si vuole, sua memoria storica.
Come nasce Lab 80?
Nasce come costola dell’associazione Laboratorio 80 che a sua volta era il vecchio Cineforum di Bergamo e che risale al 1956. Diciamo che poi nei primi anni Settanta abbiamo stabilito un diverso indirizzo dell’associazione, cioè non solo cinema ma anche altre arti e allo stesso tempo, dal 1976, ci siamo mossi verso la distribuzione di film, proprio con la creazione di Lab 80 film, a partire dall’iniziativa di un paio di soggetti come Piercarlo Nolli e il sottoscritto dal momento che si era interessati a portare in Italia quei film che vedevamo in festival internazionali che ma che non trovavano uno sbocco sul piano distributivo da noi, infatti all’inizio si chiamava «Lab 80 film altro cinema distribuzione», con un riferimento chiaro a quella che a quel tempo veniva chiamata censura di mercato.
Quindi dicamo che Lab 80 è stata un po’ l’avanguardia sul piano della distribuzione.
Si. Abbiamo iniziato a suo tempo con un film del Sultanato di Oman, e poi abbiamo avuto i primi interessamenti per il cinema polacco attraverso L’uomo di marmo di Wajda e altri, come Wojciech Has, e poi abbiamo continuato con il Wenders di Alice nelle città e Nel corso del tempo più un paio di film di Fassbinder, quindi abbiamo dato il là a cose che si sarebbero poi assimilate nel futuro. Diciamo poi che con il film di Wajda non siamo riusciti a recuperare le spese e quindi ci fu un po’ di crisi ma le cose poi si sistemarono. Infatti, dagli anni Ottanta, anche con la collaborazione del «Bergamo Film Meeting», abbiamo iniziato a distribuire pacchetti di film, tipo quelli di Ivory e Imamura, di Dreyer e di Bresson, della commedia americana classica e del noir, e questa strategia di distribuzione di pacchetti di classici è stata la cosa che in fondo ha permesso alla cooperativa di sopravvivere.
Un cambiamento di rotta.
Si, abbiamo particamente abbandonato il circuito commerciale dove è impossibile entrare per le concorrenze e i monopoli vari e ci siamo dedicati a questa formula di distribuzione di pacchetti di film, guardando anche a Oriente – per esempio, abbiamo distribuito lavori di Hou Hsiao-Hsien quando lo conoscevano in pochi – anche per i costi più bassi.
Prima citavi il «Bergamo Film Meeting» che ha comunque legami storici con Lab 80.
Si, diciamo che appunto il «Bergamo Film Meeting» era nato non come una semplice vetrina di film di cui poi non se ne sarebbe saputo più nulla, ma come occasione per favorire una eventuale circolazione delle opere presentate. Poi anche in questo caso, per ovvi motivi di bilancio, questa funzione del festival si è un po’ ridotta nel tempo, anche se negli ultimi anni si sta verificando un recupero – per esempio, ricordo che sono distribuiti i film vincitori delle ultime due edizioni.
Ci dici qualcosa dell’attività produttiva di Lab 80?
Noi siamo un soggetto produttivo da circa vent’anni. Abbiamo ovviamente iniziato in maniera soft per poi trovare, diciamo, una identità, anche in relazione all’accesso a determinati contributi ministeriali – per esempio abbiamo vinto un bando sulla produzione di Le allettanti promesse, un film sul raduno mondiale di wikipedisti che c’è stato a Esino Lario, paesino di settecento abitanti vicino al lago di Como.
E la distribuzione oggi?
Dopo anni di scelte sui classici e sui pacchetti e col venir meno dei finanziamenti che avevamo per questo tipo di operazioni, diciamo che la cooperativa si era un po’ «addormentata» in merito, ma da due o tre anni, con l’aiuto di Alberto Valtellina – che è un po’ la persona che si occupa del settore – stiamo cercando di trovare una identità forte anche in questo campo, sapendo che non è semplice dal momento che molte sale hanno chiuso e che il circuito è cambiato e che il nostro «prodotto» non è certo riferibile alle multisale. Diciamo che stiamo ricostruendo un circuito di sale che fanno una certa politica di programmazione – tra l’altro noi stessi, per conto del Comune di Bergamo, gestiamo la programmazione dell’Auditorium di Piazza della Libertà – e cerchiamo di raggiungere i piccoli centri dove non eravamo presenti. Per ora stiamo ottenendo risultati di tutto rispetto e che ci fanno ben sperare per il futuro, sia con il listino di nuovi titoli sia con certe operazioni di proposte di classici e pacchetti in continuità col passato.