«Dis/uguali» è il tema del festival fiorentino che quest’anno, dal 21 al 25 novembre, al Cinema La Compagnia, festeggia i primi quarant’anni di quello che ormai è diventato in Italia un appuntamento a suo modo «tradizionale» per quanto riguarda la ricerca e l’offerta di ciò che di più significativo viene prodotto a livello internazionale nell’ambito del cinema realizzato da donne. In considerazione delle mutevoli e particolari posizioni etiche, estetiche e politiche delle molte registe invitate negli anni a Firenze, il tema della disuguaglianza indica il progressivo dissociarsi della creazione femminile dalla retorica della femminilità come dall’ideologia, conservando nel tempo la distanza necessaria a capire la propria situazione politica per poter accettare o rifiutare di volta in volta la mano tesa della sinistra o il volto edulcorato del sentimentalismo.
Il Festival delle Donne di Firenze nasce , come molti altri festival analoghi in Europa e altrove, sulla spinta del Movimento Femminista, iniziato nel ’68 e proseguito negli anni ’70, quasi ad ampliare sul piano visivo e spettacolare l’emergere di forme e personaggi femminili che il cinema main stream non aveva fino ad allora preso in considerazione. Ed è importante sottolineare che la «disuguaglianza» femminile si rivelò e si pose subito dopo il ‘68, poiché, malgrado le lotte studentesche avessero fatto scoprire ed annusare alle ragazze una prospettiva di libertà, non le avevano certo invitate allo stesso tavolo dei ragazzi, che restavano prevalentemente i soli detentori del potere decisionale in merito alla prassi e alla scala dei valori.
In realtà i movimenti femministi nacquero spesso dalla constatazione da parte di molte donne della propria disuguaglianza rispetto al mondo maschile e dall’esigenza di trovare altri spazi di protesta e di affermazione di sé. Il Festival delle Donne di Firenze è stato e continua ad essere uno di questi spazi e si deve alla cura costante di Paola Paoli e Maresa d’Arcangelo se è andato affermandosi sempre di più, arricchendosi delle presenze delle registe più significative che si sono imposte negli anni all’attenzione del pubblico internazionale. Questa nuova edizione ripercorre in parte lo sviluppo del Festival nel corso del tempo: ripropone film di alcune autrici che hanno cominciato a lavorare grazie all’apertura alle donne degli anni ’70, e, accanto a film di giovani registe under 35 – come la polacca Maria Sadowska con The art of loving (L’arte d’amare) sulle vicende dolceamare dell’autrice di un libro di sessuologia molto noto in Polonia, e la ceca Tereza Nvotovà con Filthy (Sozzura), racconto molto duro di un’adolescente che subisce uno stupro da parte di una persona di fiducia – pone alcune autrici già note al pubblico femminile come la canadese Léa Pool, già vincitrice del Leone d’Oro al Festival di Venezia nell’88 con A corp perdu (A corpo morto), legata al movimento LGBT e, fin dai suoi esordi negli anni ‘80, grande interprete anticonvenzionale delle personalità e delle pulsioni femminili. Léa Pool sarà presente a Firenze con due film: La passion d’Augustine (La passione di Augustine, ambientato in un collegio religioso in Québec), oltre a Et, au pire, on se mariera…(E, nel peggiore dei casi, ci si sposerà…), che è il racconto di una passione adolescente e sprovveduta. «Mi viene naturale – dice Léa Pool in un’intervista – parlare del mondo femminile, dei sentimenti e dei desideri profondi delle donne, spesso ignorati dal cinema dei registi a vantaggio dei meccanismi narrativi del plot.» I suoi film, a volte associati al cinema di Marguerite Duras, hanno conquistato un pubblico di ogni età, attratto dall’acuta indagine sulle emozioni che ogni volta si scontrano con la convenzionalità dei ruoli e delle regole sociali.
Marie Castille Mention-Schaar, la regista francese che riceverà il Sigillo della Pace, apre il festival con La fete des mères (La festa delle madri), film che mette a fuoco la relazione materna che sta alla base della vita femminile e ne modella gli esiti in ogni rapporto della vita adulta. Un tema certamente universale che qui si colora di aspetti antiretorici ed anticonvenzionali.
La Spagna sarà presente con un film di Yolanda Villaluenga e Peter S. Jungk su due grandi fotografe: Isabel Munoz ed Edith Tudor Hart, nelle cui biografie singolari cinema e fotografia hanno giocato un ruolo decisivo in direzione dell’estetica e della creatività.
Le portoghesi Cristina Pineiro con Menina e Susana Nobre con Tempo comun (Tempo comune) parlano di storie personali giocate tra autenticità e finzione, tra appartenenze ed estraneità che rendono problematici i rapporti con i figli, mentre la svizzera Lisa Bruhlmann nel suo primo lungometraggio, Blue my sky (Il mio cielo blu) affronta la crisi di un’adolescente dei nostri giorni.
Uno spazio speciale è riservato ad Emanuela Piovano, regista e sceneggiatrice, divenuta in seguito anche produttrice e distributrice, della quale viene proiettato l’esordio da regista Le rose blu, film singolare girato nel 1990 nel carcere torinese Le Vallette in cui appare Laura Betti in un ruolo che è anche un omaggio alla sua lunga relazione amicale con Pier Paolo Pasolini. Ad Emanuela Piovano è affidata anche un’interessante master class in cui esporrà il suo itinerario professionale del tutto «sperimentale», fatto di tentativi e di virate, in quanto Emanuela è riuscita miracolosamente a sfruttare gli scarsi spazi riservati alle donne nel cinema italiano ed è riuscita a creare la sua società di produzione e distribuzione che si chiama Kitchen Film.
Un discorso particolare merita il film Seguimi di Claudio Sestieri, che si giova di una sceneggiatura di Patrizia Pistagnesi e dei costumi di Lia Morandini per la storia dell’incontro tra due donne nella cornice suggestiva dei Sassi di Matera. Per la seconda volta in un film di Sestieri appare l’enigmatica attrice giapponese che sembra incarnare la Musa ideale del regista e della sua protagonista, in un film fatto di suggestioni visive ed atmosfere rarefatte.
L’interesse per la vita di altre donne che hanno guadagnato la loro autonomia, e magari il successo, prende sempre più piede, come testimonia il film dell’americana Amalie Rothschild Woo Who? May Wilson, ritratto di una grande artista Pop che a sessant’anni, dopo una vita familiare nella norma, si trasferisce a New York per vivere la sua stagione artistica e umana più felice.
Sono inoltre in programma film che affrontano il tema oggi più che mai attuale della violenza maschile nei confronti delle donne: Ma l’amore che c’entra? di Elisabetta Lodoli dà la parola a tre uomini che hanno chiesto un aiuto psicologico per liberarsi del loro dettato interiore di prevaricazione e supremazia, e il risultato mette in evidenza che molto spesso non si tratta di amore bensì di possesso e potere. Silvia Lelli presenta Violenza: storie del silenzio in cui mette ancor più in evidenza la mancanza di significato della violenza, che si esprime appunto con il silenzio e l’incapacità di dare spiegazioni. Su questo tema rovente si esprime anche la regista tunisina Kaouter Ben Hania con il film La bella e le bestie che, come il film precedente Le Challat de Tunis (La sciabola di Tunisi) mostrato a Firenze l’anno scorso, gioca tra finzione e realtà per raccontare la Tunisia contemporanea e lo stupro come struttura del comportamento maschile difficile da cancellare. Mariam Al Ferjani, l’attrice protagonista, sarà presente alla proiezione.