«Operaio in mare aperto», un libretto delle edizioni Gruppo Abele, racconta la storia di un bracciante senza terra che dalla Sardegna delle origini emigra con la famiglia a Torino, trova lavori che è quasi un bambino, arriva da ragazzo alla Fiat, impara la cultura dell’operaio, entra nel sindacato, si fa conoscere, diventa un capo nel consiglio di fabbrica, viene candidato alle elezioni, proprio quando l’attacco delle Br è al massimo. Il suo partito, un partito della sinistra minore, opta per un altro. Non sarà deputato a Roma. Coglie l’occasione, il nostro operaio, per lasciare anche Torino. Comincia un’altra vita in mare aperto, imparando a pescare; e a farlo senza distruggere tutto e insegnando come si rispetta il mare di tutti e il pesce di chi lo pesca.

Una storia come tante, insomma, la storia di Gianni Usai che ha impiegato quarant’anni per scendere dai monti della Sardegna al mare, imparando nel frattempo un po’ di filosofia, un po’ di meccanica per tutti i giorni e molta poesia. Una storia come tante, la riconquista del mare dopo tanta fabbrica, se non fosse per l’intreccio con un’altra storia di un altro compagno venuto a Torino, dalle Marche questa volta, padre artigiano comunista, madre sarta, molto severi, molto generosi, che lo obbligano a laurearsi. Così diventa uno che può imparare a leggere il mondo – l’università serve a qualcosa – e un po’ perfino ne capisce o almeno sa che deve sforzarsi in ogni momento di capire.
Così diventa un giovane chimico con una brillante carriera davanti – sono gli anni sessanta – ma c’è un ma: non gli piacciono i padroni e non lo manda a dire. Fa un po’ di mestieri, finisce a insegnare nelle scuole e poi a scrivere sul manifesto, per i successivi trenta o quaranta anni, raccontando, giorno dopo giorno le storie delle fabbriche, dell’industria, a partire dalla Fiat che egli vuole capire prima di rovesciarla. Così si interessa anche di Usai, che con la Fiat vive ogni giorno più di altri e cerca ogni giorno di capovolgerla.Si chiama Loris Campetti questo compagno di Usai. I due sono fatti per aiutarsi, per imparare l’uno dall’altro. Si fidano e si abituano a vedere il mondo anche attraverso gli occhi del compagno. Uno sa tutto delle meccaniche e delle carrozzerie; l’altro del resto della città: la scuola, il tribunale, i media, gli intellettuali da salvare e quelli da perdere, i giochi dei padroni Agnelli.

Poi ci sono i consigli di fabbrica e ci sono le ragazze. La vita vale davvero qualcosa, negli anni settanta, a Torino.Quando la politica si impone e spadroneggia nel sindacato e nel partito, quando le Br hanno chiuso gli spazi, Usai dice basta; lascia Torino per rituffarsi nel mare. Non è però una fuga, è una scelta individuale; ha capito in anticipo su altri che una fase era finita e ha deciso di cambiare. Non ha chiesto il consenso di altri, non ha voluto spiegare il perché e il per come, i tempi e i metodi, la bellezza degli spazi e delle onde. L’ha fatto e basta. Ha rischiato di rimanere solo. Poi, poco alla volta, pochi per volta, altre persone hanno capito. Hanno capito che Usai cercava di cogliere la qualità di un bene comune diverso, fatto di ospitalità e di uguaglianza, di rispetto per la natura, di sapori e profumi.
Così i suoi compagni si sono rifatti vivi, lo hanno preso sul serio, in parte lo hanno imitato, in tanti hanno scritto libri e canzoni, spettacoli teatrali, hanno girato film: sul mare e sul pescato.

Nel loro libro Gianni e Loris, i miei amici, parlano tra di loro, si spiegano e si rispettano, ricordano le loro storie, la storia di Torino-Mirafiori che non c’è più, la storia di un’isola piccola al largo di un’isola grande che per fortuna – e per bravura – c’è ancora.
Gianni Usai con Loris Campetti, «Operaio in mare aperto /Conversazioni su lotta, uguaglianza, libertà» Palafitte – Edizioni Gruppo Abele, pagg. 141, 10 euro