Sembra che la sconfitta occidentale in Afghanistan sia diventata una notizia. Anzi, “la” notizia. Ci volevano le immagini del caos all’aeroporto di Kabul, e quelle – tremende se autentiche – delle persone precipitate dopo essersi aggrappate ai carrelli di un aereo americano, perdendo così la vita che speravano di salvare scappando dai Talebani vittoriosi.

Non essendo uno specialista e non avendo “fonti qualificate” resto senza parole: ancora sui giornali di domenica si leggeva che l’”intelligence” Usa prevedeva che Kabul potesse, forse, cadere “nel giro di 30 giorni”. Quasi nelle stesse ore il capo del “governo” afgano scappava “per evitare una strage” e i vertici talebani si insediavano nei palazzi del potere annunciando la nascita di un “Emirato Islamico”.

Su La Repubblica Maurizio Molinari e Piero Fassino (presidente della Commissione Esteri della Camera) si facevano alcune domande: forse il popolo afghano non crede molto “ai valori liberali su cui si fonda la democrazia”. Questa “forza, morale e politica… deve nascere da loro stessi… neanche il più potente degli eserciti potrà mai riuscire a rimpiazzarla”.

Ci volevano vent’anni di guerra per capire che la democrazia non si può imporre “sulla canna del fucile”?

Ma la domanda più imbarazzante è un’altra: stiamo forse dimostrando di vivere e applicare coerentemente quei famosi valori liberali cari all’Occidente? Fassino ammette che la “credibilità” occidentale è oggi “fortemente incrinata”. Alle domande aperte dal disastro afgano – dice – “dovrà iniziare a dare risposte l’incontro internazionale sulla democrazia promosso il prossimo 9 dicembre dal presidente Biden”. Niente fretta, dunque. Capisco che si tratta di trovare risposte molto diverse da quelle date quantomeno dalla prima Guerra del Golfo in poi.

Purtroppo però alcune bisognerebbe saperle dare immediatamente. Abbiamo letto sui siti la solita espressione: “Europa divisa” sul problema più acuto di oggi, come aiutare i profughi che scappano dall’Emirato islamico rinato?

Le informazioni raccolte ieri su vari siti erano vergognose. La prima reazione in Europa è stata di chiusura. L’Austria per bocca del suo ministro degli Interni ha detto che non darà asilo agli afgani che scappano: “Chi ha bisogno di protezione – ha dichiarato – deve riceverla il piu’ vicino possibile al proprio Paese di origine”. Insomma, andate a cercare i principi liberali in Pakistan, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, e perché no, in Cina (che confina per 76 chilometri con l’Afghanistan, e che peraltro ha già teso la sua potente mano al neonato Emirato talebano…). Danimarca, Germania e Paesi Bassi si erano già schierati su una linea simile (anche se sembra che abbiano fermato i rimpatri forzosi dei richiedenti asilo afgani già presenti nei loro paesi!). Unica voce diversa quella del premier albanese Edil Rama: alcune centinaia di rifugiati li potrà accogliere, se non altro – dichiara – in nome della forte alleanza con gli Usa…

Il titolare della “politica estera” della Ue, Josep Borrell, ha pensato di riunire – per quanto “virtualmente” – i ministri degli esteri europei per oggi. In seguito agli sviluppi laggiù una “prima valutazione” si impone. Chissà se, anziché decidere subito l’apertura dei necessari corridoi umanitari, l’idea austriaca che gli universali principi democratici (tra cui il diritti di asilo) si debbano declinare secondo la prossimità geografica (e la convenienza egoistica) attecchirà presso gli altri partner. Vedremo le edificanti esperienze mediterranee di mercimonio geopolitico sulla pelle dei profughi “esportate” intorno alla lontana Kabul?

Ma Kabul resterà comunque vicina, vicinissima.