L’operazione per dirottare 8 miliardi di crediti deteriorati di Monte dei Paschi verso Amco (ex Società per la Gestione di Attività) sembra andare in porto e rappresenta forse la più significativa cessione di crediti deteriorati realizzata in Itali (info qui).

Un dirottamento della zavorra dai bilanci della banca senese, a partecipazione pubblica al 68%, verso una società specializzata proprio nel recupero di tale tipologia di crediti.

Questa società finanziaria è al 100% di proprietà del Ministero dell’Economia e delle Finanze dal 2016. Nata alla fine degli anni Novanta per intervenire nel Banco di Napoli, recentemente è intervenuta per recuperare una parte dei crediti che facevano capo al fallimento delle banche venete.

Nel 2019 vantava un bilancio in attivo, risultato della sua capacità di recuperare almeno una parte di quei crediti NPL (Non Performing Loans). Passato il momento economico peggiore, infatti, una parte dei debitori riesce a regolarizzare la propria posizione.

Questo passaggio di crediti deteriorati in cambio di obbligazioni e subordinate, ha consentito immediatamente alle azioni di Mps di riprendere quota.

Apparentemente sembra un’operazione finanziaria innocente, di cui persino non si comprende il ritardo. Come mai, se è sufficiente ricorrere a una Bad Bank per migliorare i bilanci di un istituto di credito, non se ne fa un ricorso ancor più intensivo? E, soprattutto, come mai è così semplice risolvere problemi di natura finanziaria che rendono fragile il sistema bancario?

Leggendo il sito di Amco non si comprende, se non per misteriose alchimie finanziarie, come sia possibile che i crediti inesigibili per un istituto possano diventare un affare per questo operatore specializzato, il quale ha la capacità di trasformare crediti deteriorati in «nuovi punti di partenza».

Le operazioni Bad Bank raramente sono win-win. Il meccanismo, al di là delle complesse architetture finanziare, è piuttosto semplice: la banca cede i suoi crediti deteriorati, frutto di debitori che non riescono a pagare le rate di un finanziamento o di un mutuo, sotto forma di titoli a una società specializzata (Bad Bank) e in cambio di soldi, azioni o altro, che le permettano di trasformare quegli «incagli» in un rafforzamento patrimoniale.

La Bad Bank recupererà una parte dei crediti deteriorati, ma anno dopo anno nella sua pancia rimarranno quelli sicuramente inesigibili. Il meccanismo permette di diluire su più anni le probabili perdite di un soggetto finanziario, ma alla fine le perdite quasi sicuramente ci saranno, perché non tutti i crediti sono evidentemente recuperabili.

Chi assumerà le perdite?

Ovviamente dipenderà in parte da quanto sono stati valutati i titoli ceduti alla Bad Bank, ma sicuramente in questo caso le assumerà lo Stato, essendo proprietario di entrambi i soggetti protagonisti dell’operazione. Un processo simile può accadere anche per soggetti specializzati di natura privata, in alcuni casi con la decisiva garanzia statale sui crediti a rischio.

Questi, in altri paesi, hanno potuto godere di maggiori libertà, potendo fornire ulteriore credito ai debitori morosi, intervenire nei piani industriali delle imprese in difficoltà, fino a costituire sub Bad Bank.

Molti analisti finanziari sostengono che tali «veicoli» non siano poi così «cattivi», ma resta l’impressione che l’espediente sia quello di nascondere la polvere sotto il tappeto, un tappeto fornito quasi sempre dal pubblico.

La crisi che abbiamo di fronte renderà particolarmente inesigibili i vecchi crediti incagliati e, soprattutto, ne produrrà di nuovi, probabilmente tanti.

Questa settimana la Banca d’Italia ha presentato un rapporto in cui si sostiene che il 40% dei debitori dichiara di fare fatica a rimborsare le rate del proprio debito.

Quante Bad Bank serviranno per socializzare, ancora una volta, le perdite del sistema finanziario?