Da qualche giorno, la celebre casa d’asta Christie’s di Londra è al centro di una polemica che non accenna a spegnersi. A creare scandalo è la vendita, osteggiata dal governo egiziano, di un «ritratto» di Tutankhamon per l’esorbitante cifra di 4,7 milioni di sterline ovvero più di 5 milioni di euro. Il prezioso reperto, una testa di quarzite bruna alta circa ventotto centimetri, rappresenta il faraone bambino con le fattezze di Amon, la suprema divinità egizia il cui culto era stato ripristinato dal giovanissimo sovrano, asceso al trono nel 1336 a.C. dopo il regno dell’eretico Akhenaton (padre di Tutankhamon, in base all’analisi del Dna effettuata nel 2010 su un campione di mummie appartenenti alla stessa famiglia). Fin dal mese di giugno, l’Egitto aveva chiesto che il pezzo venisse ritirato dall’asta in quanto fuoriuscito illegalmente. Certificati di garanzia erano stati sollecitati a Christie’s anche per altri oggetti antichi provenienti dal medesimo paese del Mashreq. Secondo l’egittologo di fama internazionale Zaki Hawass, la testa di Tutankhamon era originariamente collocata nel Tempio di Karnak a Luxor, monumento che negli anni Settanta del XX secolo ha subito numerose spoliazioni.
La casa d’asta, dal canto suo, fa sapere che è tutto in regola ed esibisce la lista dei precedenti proprietari. Ma se quest’ultimo documento non è esente da sospetti, colpisce che il ruolo di moralizzatore venga impersonato proprio da Hawass, personaggio di recente tornato alla ribalta ma sul quale in passato si è addensata ben più di una nube. Nominato nel 2011 ministro delle Antichità da Hosni Mubarak, venne condannato in quegli anni per episodi di corruzione inerenti alla libreria del Museo Egizio del Cairo. Largamente presente sui media di tutto il mondo con compensi da capogiro, Hawass ha per lungo tempo esercitato il suo potere sulle missioni archeologiche occidentali operanti in Egitto, arrogandosi il diritto di divulgare per primo le nuove scoperte. Alla caduta di Mubarak, al quale era strettamente legato, gli fu temporaneamente vietato di lasciare il paese. Fra i detrattori di Hawass vi è anche chi lo considera complice del saccheggio avvenuto al Museo Egizio durante le proteste di Piazza Tahrir, quando le colpe della devastazione e dei furti ricaddero sui manifestanti già vittime di violenza. Sono gli Stati, detentori di un patrimonio culturale destinato alla comunità e non a una ristretta cerchia di nababbi, a doversi opporre fermamente ai perversi meccanismi delle case d’asta, le quali si muovono sul labile confine tra il collezionismo regolamentato di opere d’arte e il traffico illecito di reperti.
La notizia della vendita della testa di Tutankhamon stride inoltre con la mostra sul faraone bambino attualmente in corso a Parigi, presso la Grande Halle de la Villette. Buona parte del corredo funerario della famosa tomba KV62 riportata alla luce da Howard Carter nel 1922 – evento che ebbe risonanza planetaria – intraprende per l’ultima volta un tour fuori dall’Egitto, per poi andare a confluire nel Grand Egyptian Museum in costruzione a Giza.
Se da una parte, dunque, ci si propone di evitare in futuro lo smembramento dei contesti archeologici a scopo di lucro, dall’altra si distrugge un simbolo qual è Tutankhamon mercificandone l’immagine nascosta alla memoria degli antichi ma sacralizzata dal Novecento in poi.