Ci eravamo ripromessi, dopo avere visitato lo scorso anno il Padiglione Italiano alla Biennale di Architettura di Venezia, di riparlare di TAMassociati, lo studio di architettura di Massimo Lepore, Raul Pantaleo, Simone Sfriso, curatori della bella mostra Taking Care: uno dei pochi momenti di interesse dell’esposizione di Alejandro Aravena.
L’occasione per tornare a discutere dello studio veneziano è data dall’uscita in libreria del libro TAMassociati, Taking Care. Architetture con Emergency (Electa, pp.192, euro 36) a cura di Francesca Serrazanetti. Il volume non è solo una raccolta dei progetti realizzati da TAMassociati per l’organizzazione umanitaria di Gino Strada, ma anche un utile «manuale umanistico» che ci consegna una metodologia essenziale ma rigorosa su come si affronta, in contesti geografici complessi e difficili per ragioni di povertà e guerre, la costruzione di strutture sanitarie e assistenziali efficaci per la vita delle popolazioni locali, profughi e migranti in fuga.
Prima però di illustrare il libro occorre eliminare un equivoco di fondo che sembra annidarsi nella premessa che lo accompagna, ossia la tesi che i «principi» del fare dell’architetto debbano essere «reinventati e intesi come progettazione etica, sostenibile e partecipativa» come se potesse mai esistere un’architettura degna di essere ammirata e considerata che ne possa prescindere.

IL CONSIGLIO di evitare, forse per marcare una differenza, di valutare i progetti di TAMassociati per i loro aspetti formali e funzionali appare poco comprensibile così come è difficile sapere quali mai siano gli «accademici metri della critica». Piuttosto appare evidente che le difficoltà oggi esistenti affinché si manifesti un serio giudizio critico stia proprio nello smodato richiamo alla sostenibilità, all’uso diffuso che si fa dell’etica per nascondere progetti mediocri, conformisti ed estetizzanti, insomma che nulla hanno a vedere, pur richiamandolo, con il bene comune. Bene comune che occorre ricordare con le parole di Mumford consiste nello «sforzo di fare dell’espressione del buono e del bello, dell’ordine e del significato il nucleo di ogni iniziativa umana».

LE ARCHITETTURE di TAMassociati possiedono una «ricchezza di significato» (etico, simbolico, religioso, ecc.) perché non sono affatto separate dal «mondo del qualitativo e del soggettivo», quello che «nasce dall’emozione e dal desiderio», per citare ancora lo storico statunitense e che si esprime in scelte compositive esatte e sobrie senza mai rinunciare alla loro qualità formale.
Guardiamo, quindi, alle loro architetture secondo questi «tradizionali» criteri e così facendo ne individuiamo i caratteri più convincenti. L’integrazione perfetta, innanzitutto, delle rigide funzioni che impone l’organizzazione sanitaria con la scelta di un linguaggio né mimetico né meccanico, ma ricco di invenzioni mai scontate nella loro semplicità alle quali TAMassociati giungono con il sapiente uso della geometria e del colore, il calibrato ordine degli spazi tra interni e esterni, l’attenta sensibilità alla scala dei volumi (orizzontali), infine la cura per la scelta dei materiali, spesso locali insieme alle loro pratiche d’uso.

È FACILE COSÌ ACCORGERSI che uno stesso modo di agire guida la loro progettazione per l’edilizia ospedaliera come per quella, ad esempio, residenziale (San Lazzaro di Savena, Villorba; 2014) che speriamo presto possa essere raccontata in una successiva monografia. Il modus operandi al quale ci riferiamo ha nel neologismo «Bellitudine» uno dei suoi elementi cardinali. Lo spiega con precisione Pantaleo nella sua raccolta La sporca bellezza (elèuthera). Bellitudine «si ispira al concetto classico di bellezza – scrive il co-fondatore di TAMassociati – dove la parola kalòn comprendeva il forte legame fra bello e buono». È stata l’invenzione di questa parola che ha permesso di qualificare il «bello che si prende cura delle cose, dei dettagli, delle proporzioni, che dà attenzione alle persone». Noi aggiungiamo che è la Bellitudine che stabilisce la relazione empatica tra gli esseri umani e l’ambiente, e della quale l’imperfezione (altro termine cardine) è la componente che dona all’architettura la «naturalezza» che gli è propria nelle latitudini centro-africane o asiatiche e le consente di essere sempre in dialogo con il paesaggio che la circonda.

TUTTO CIÒ avviene senza rinunciare al linguaggio della contemporaneità ma distinguendosi dagli stilemi logori, purtroppo emulati in quei continenti senza alcun rispetto e pudore: davvero forme di una «simulata modernità» che andrebbero evitate visto che a riprodurle sono spesso architetti occidentali. Dal Centro Salam a Khartoum (2007), il più articolato e complesso per via del suo farsi per singole e differenti parti, ai centri pediatrici di Bangui, Nyala e Port Sudan (2008-2011), dagli «avamposti di sanità» di Marghera, Polistena, Castel Volturno e Ponticelli (2006-2015) per migranti ed esclusi dall’assistenza sanitaria italiana, agli ultimi interventi in ordine di tempo in Iraq e Afghanistan (Kabul e Anabah) dove Emergency è presente dagli anni Novanta, TAMassociati ha mostrato cosa si deve intendere per un’architettura «riconoscibile e di qualità» utile a quella «ricostruzione umana» che è da sempre lo scopo ultimo della nostra più conosciuta organizzazione umanitaria.

Concludiamo con un richiamo all’ultimo progetto di TAMassociati che è la nuova sede di Emergency a Milano e che per ragioni editoriali non è compresa nel volume in questione. Auguriamo alla «Casa Emergency», nella vecchia scuola di via Santa Croce, di essere anch’esso un luogo dove per chiunque ne abbia bisogno possa trovare insieme alle cure, tranquillità e speranza.