A Torre dei Picenardi (Cremona) c’è chi ha paura degli stranieri e degli immigranti anche in fotografia. Una benemerita cooperativa di giovani locali –Soms (Società Operaia di Mutuo Soccorso) aveva organizzato la presentazione di una mostra fotografica.

Una mostra di Giuseppe Morandi e della Lega di Cultura di Piadena, intitolata «La mia Africa», dedicata ai lavoratori africani e indiani che tengono vive oggi le stesse campagne in cui una generazione fa lavoravano i «paisan» eternati in altre storiche fotografie dello stesso Morandi. Come annuncio della mostra, alcune riproduzioni delle foto erano state esposte in diversi luoghi del paese. Era ovviamente un insulto intollerabile alla purezza del sangue padano, per cui per due notti di seguito, approfittando delle tenebre, alcuni audaci difensori della razza si sono presi il disturbo di strapparle e tornare a farlo.

Da un lato, non hanno tutti i torti: se c’è qualcosa che attraversa tutta la mostra (e il libro a cui si collega, intitolato appunto La mia Africa, pubblicato da Mazzotta ormai quasi vent’anni fa) è che le immagini colte da Giuseppe Morandi sprizzano energia e orgoglio. Sono qui per restare: uno dei volti che aprono la mostra è quello di Jajid Raj Mehta, bracciante agricolo indiano di nascita e cittadino italiano oggi, poeta e cantore che, in perfetto italiano, scrive e canta: «Vengo la lontano, non vado via», e ribadisce: «non sento nostalgia» perché «questa è casa mia». Non sono postulanti, non sono disperati – per forza che mettono paura ai leghisti di paese.

Dall’altro lato, però, non hanno capito niente. I giovani della Società di Mutuo Soccorso e i compagni della Lega di Cultura di Piadena hanno reagito dicendo: «Non lasciamo che l’immagine di Torre venga infangata da pochi ignoranti».

Di immagine si tratta: sono gli immigrati quelli che, facendo oggi il lavoro dei vecchi «paisan», tengono viva l’identità di un territorio profondamente legato all’agricoltura, alle stalle, alle cascine, agli animali. L’identità e la storia di questi luoghi, a cui le destre tengono tanto a parole, non è questione di sangue e di razza: è questione di lavoro, fatica, rapporto con la terra. La sfida ineludibile delle foto di Morandi sta nell’affermazione implicita che la storia, l’identità, l’immagine di questi pezzi d’Italia sono affidate a chi li lavoro, non certo ai clandestini strappatori notturni di foto sgradite.

Né la Soms né la Lega di Cultura si sono fatti spaventare. Hanno denunciato i fatti ai carabinieri e, in pieno Ferragosto, sono andati avanti e hanno inaugurato lo stesso la mostra. Anche questo, oggi, è resistenza.