Si dice che nel 1910 un disegnatore inglese abbia proposto il bozzetto dei tre camerieri con il vassoio su cui poggia la bottiglia dell’aperitivo Saint-Raphaël a uno stampatore che lo paga appena venti franchi. Sono tre su fondo nero. Uno rosso, uno bianco, uno blu in omaggio ai colori della bandiera francese. Lo stampatore vende a caro prezzo l’immagine alla casa produttrice che, cancellando il cameriere blu, la fa sua. Il manifesto diventa celebre e sarà usato fino al 1936. In occasione della grande Esposizione dell’anno dopo, Saint-Raphaël chiede a Charles Loupot di reinventarlo. Il disegnatore già affermato fa saltare i camerieri, vassoio in mano, sopra la Tour Eiffel che domina il sito dell’Esposizione. Questo manifesto segna il debutto di una lunga e fruttuosa collaborazione durante la quale Loupot modifica, stilizza, pulisce e alla fine cancella le due silhouette fino a creare dei simboli grafici che su enormi superfici allungate propongono con caratteri diversi, quasi illeggibili, ma destinati a attirare ancora di più l’attenzione dei passanti il marchio: Quinquina St. Raphaël.

È uno dei maggiori cartellonisti francesi del XX secolo. Nato a Nizza alla fine dell’Ottocento, è attivo fino agli anni Sessanta. Più pittore che disegnatore, tra i primi introduce nei manifesti l’Art déco. Il più artista, il più affascinante e insieme il più “grafico” dei pubblicitari, incarna un’arte geometrica e rigorosa, ai confini dell’astrazione, forse meno immediatamente seduttiva ma sempre di una singolare efficacia pubblicitaria. Mentre altri artisti con una lunga carriera come Chéret e Cappiello animano un’opera omogenea per non dire ripetitiva, le creazioni di Loupot si estendono per cinquant’anni in una serie di periodi molto differenti tra loro affrontando gli stili più diversi. È proprio questa varietà che sta al centro della mostra “Loupot, peintre en affiche” alla Bibliothèque Forney di Parigi fino al 26 maggio.

Dopo aver frequentato l’Accademia di belle arti di Lione, si trasferisce a Losanna dove dagli stampatori Wolfensberger impara i segreti della litografia. Viene richiamato alle armi ma viene ferito quasi subito. Già nel 1915 ritorna in Svizzera dove sviluppa un suo stile raffinato, pittorico, addirittura manierista influenzato dall’opera del grande Cappiello, ideando i manifesti per le campagne pubblicitarie delle camicerie Weith, le sigarette Sato, le pellicce Canton. Ma il manifesto più nuovo, tutto incentrato sul movimento e il dinamismo che ricorda la velocità futurista, è quello per le automobili Ch. Philippossian di Ginevra. Una sagoma di auto allungata in avanti è guidata da una ragazza di cui si vede una mano appoggiata sul volante, il viso intento alla guida e il capelli ramati spinti all’indietro dal vento che si staccano nettamente sul colore marron scuro del veicolo e il beige delle nuvole.

La sua fama arriva in Francia e nel 1923 è chiamato dall’editore Devambez che pubblica la “Gazette du bon ton” e “Fémina”. Il manifesto più noto di questo periodo è quello per le automobili Voisin (1923). Tra gli alberi verdissimi dai tronchi neri spunta una piccola vettura bianca, punto focale su cui si fissa lo sguardo e il desiderio dello spettatore. Loupot capisce che la pubblicità, elemento indispensabile per il successo, trasmessa dal manifesto è l’unico mezzo per entrare tra la gente, suscitarne i bisogni superflui, instillarne l’urgenza. Come tranquillizzare se il prodotto può dare adito al sospetto che sia in qualche modo dannoso. Il liquore Cointreau non si beve per ubriacarsi ma per proteggersi dal freddo. È così che lo mette tra le braccia di un esquimese. Utilizza il colore del liquore con un gioco sapiente di sfumature, di sovrapposizioni e di litografie, avvolgendo la figura in un alone di arancio più scuro, quasi un caldo abbraccio. L’unico oggetto che per la sua somiglianza al prodotto sembra fotografato è la bottiglia. Ma la collaborazione con Devambez è di breve durata e già l’anno successivo è richiesto dai fratelli Damour che creano per lui l’agenzia “Les Belles Affiches”.

Quando nel 1925 si inaugura la grande Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes viene indetto un concorso per scegliere il manifesto migliore destinato a pubblicizzare l’avvenimento. Il vincitore è quello di Loupot. Una grande rosa d’oro, che simbolizza l’opera d’arte, svetta in alto attraversata dai fumi neri che salgono dalla piccola fabbrica rossa in basso. La preziosità della rosa si contrappone alla pragmaticità dell’industria. Se il nero del fumo appare troppo spesso, troppo compatto, la rosa d’oro per contrasto sembra più pura, più preziosa, incontaminata dalla massificazione della produzione industriale. Ma la mostra vuole mettere in luce proprio i due aspetti della produzione francese. Nonostante i rapporti difficili con i suoi datori di lavoro, è il periodo in cui disegna le sue più belle creazioni. Davanti a una grande T, dipinta del caldo rosso mattone e del verde sottobosco alternati verticalmente, una tazza bianca colma di tè fumante le cui spire salgono verso l’alto, campeggia la scritta nera Twinings in caratteri cubitali. La fiera di Francoforte è un segnale ferroviario. Appeso a un palo verticale un braccio rosso abbassato indica che la via è libera. Se non bastasse, sul fondo bianco del manifesto le piccole scritte rosse in obliquo: “È libera. La via degli affari”, dando vita a un cartellone essenziale che con pochissimi segni dà tutte le informazioni necessarie. Inventore del manifesto moderno, per le automobili Peugeot ricorre nuovamente alla velocità, la caratteristica allora più richiesta. Una ruota e un cofano nero puntati verso l’alto sfumano dietro dove in primo piano una macchia rossa con al cento un’iride blu sembra ammiccare maliziosamente.

Etienne Nicolas, padrone della celebre ditta di vini, alla fine degli anni Venti ricorre a Loupot per la pubblicità dei suoi prodotti. La campagna lo terrà impegnato per molti anni con l’invenzione di numerosissimi manifesti, sculture e bozzetti. Negli affiches una figura stilizzata mezza nera e mezza bianco-lacca tiene in mano delle grandi ruote dentate, l’una gialla l’altra rossa, che possono evocare due mazzi di bottiglie prese per il collo, anche se molto è affidato alla fantasia di chi guarda. Come sempre lascia allo spettatore la libertà di immaginare, lui si limita a suggerire, a evocare un prodotto attraverso un’icona come un abile ideatore di puzzle. Nei manifesti degli anni Cinquanta è solo la losanga chiara i cui apici continuano oltre il manifesto e le piccole aste che partono dai lati più corti che rimandano ai vini Nicolas. Il rosato Canteval seducteur è inscritto in un cerchio nero con accanto il simbolo del precedente manifesto che ormai è diventato la sigla della ditta.

Sono molti altri i prodotti di cui ha disegnato i manifesti. Dal dentifricio Sérodent al sapone Monsavon, c’est du lait, dalla cioccolata Dauphinet alla pittura murale Valentine. Ma forse l’immagine più evocativa di un mondo pacificato e sereno è quella per le Sables d’or les pins, un paradiso per lo sport, una spiaggia fiorita della Bretagna che i critici non hanno esitato a paragonare a un quadro di Derain o Vlaminck. Due figure in primo piano, un uomo e una donna, viste da dietro con colori vibranti dal rosso bordeaux al verde intenso si appoggiano a un alto pino marino sullo sfondo di una spiaggia chiara. Tra loro e il mare piccole figurine intente a vari sport si muovono tra dune erbose. L’atmosfera che crea una poesia particolare è come una finestra aperta su un sogno di viaggio.