C’è sempre qualcosa di sorprendente quando la moda prende posizione. E c’è sempre qualcuno che avanza sospetti. Anche gli addetti ai lavori fanno fatica a sopportare che la moda si comprometta con il sociale, mentre chi l’avversa ha già pronta l’accusa di interesse commerciale. Anche quando, in realtà, il messaggio va contro la fascia del mercato di riferimento. È successo anche questa volta con due messaggi socialmente forti arrivati dalla moda, nelle ultime due giornate delle sfilate, da Valentino e da Miu Miu, due marchi italiani che sfilano a Parigi, ultima fashion week che chiude la stagione.

Valentino ha presentato una collezione dedicata all’Africa. E fin qui nulla di nuovo, visto che tante volte la moda si è ispirata a quel continente. La differenza l’hanno fatta Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli. I due direttori creativi del marchio hanno tenuto a precisare che la collezione è dedicata alla migrazione, «uno dei più grandi fenomeni di questi anni che la malaugurata storia dei nostri giorni ha trasformato in tragedia». Presentando una collezione che non ammicca né all’etnico né alle immagini da cartolina delle tante Afriche possibili, Chiuri e Piccioli hanno precisato che la moda «non può disinteressarsi di quello che accade nel mondo e che raccogliere in una collezione di abiti le tante culture africane può servire a sensibilizzare molti verso quello spirito dell’accoglienza che fa parte della nostra cultura ma che abbiamo sciaguratamente dimenticato. La moda può spingere alla conoscenza dell’altro diverso da noi. Se davanti alle immotivate paure inculcate da chi ha un banale interesse elettorale la moda fa finta di niente, vuol dire che non sa fare più il proprio lavoro».

Dopo questa presa di posizione dei due designer, una parte della stampa americana che li ha accusati di essere poco politically correct, in quanto hanno pettinato le modelle con le treccine. Una contestazione così inconsistente che fa il pari con quella opposta della stampa conservatrice francese a Karl Lagerfeld di «istigazione al matrimonio gay» perché, mentre due anni fa si discuteva della legge sul matrimonio gay, nel finale di una sfilata di Chanel aveva mandato in passerella due modelle con l’abito da sposa. In Francia, il matrimonio omosessuale è stato approvato sei mesi dopo.

L’altro scossone è arrivato da Miuccia Prada. Spiegando la sua Miu Miu, dichiara che la collezione è una «ribellione contro il mondo conservatore». E aggiunge che la moda deve spingere alla «protesta e alla ribellione» perché oggi tutto appare «irrazionale. Sono irrazionali i movimenti religiosi radicalizzati, è irrazionale la politica che nega e ostacola i diritti individuali, è irrazionale un potere che nessuno sa bene dove risiede».
L’accusa di «comunisti da passerella» è arrivata puntuale. Trita, ritrita e prevedibile, come la barzelletta sconcia di Berlusconi, che la cronaca ha registrato, neanche a farlo apposta, il giorno dopo. A dimostrazione che c’è sempre un motivo quando la moda protesta.

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