Dar conto di un festival dedicato al tema della giustizia, con riflessioni su pena di morte e condizioni carcerarie, riesce sicuramente difficile senza guardare con preoccupazione all’Italia, fresca di condanna dall’Unione Europea per la situazione disumana delle proprie carceri. Il festival si tiene a Lione e origina da una commissione dell’Opera de Lyon su libretto di Robert Batinder, cui si deve l’abolizione in Francia – nel 1981, ultimo paese in Europa – della ghigliottina, quando era ministro del governo Mitterand (con l’opposizione della maggioranza dei francesi, come ama ripetere lui stesso).  Attorno a Claude, opera ispirata dal racconto Claude Geux di Victor Hugo ( strenuo avversario della pena di morte) si struttura un festival che affianca a Fidelio di Beethoven a un doppio pannello composto da Il prigioniero di Dallapiccola e Erwartung di Schoenberg, cui seguono anche incontri e dibattiti.

Apertura il 27 marzo con la prima assoluta di Claude, per cui Olivier Py ha creato uno spettacolo di impatto straordinario, che racconta la violenza, la vita e gli spazi del carcere, senza risparmiare nulla della vicenda disperata di Claude, recluso della prigione-opificio di Clairvaux e poi ghigliottinato per l’uccisione del direttore del carcere. Unici momenti di tenerezza la condivisione del pane e brusche effusioni erotiche con il giovane Albin, il cui trasferimento fra scattare la molla della tragedia. La musica di Thierry Escaich, alla sua prima opera lirica, si sforza di aderire al dato teatrale affidandosi a un declamato affocato e duro, con sporadici accenni di abbandono melodico.

L’orchestrazione è aspra, plumbea, su tutto domina un angoscioso ostinato, interrotto da continui scarti ritmici, dagli incisi del coro e dal singhiozzo delle pause: efficace negli snodi drammatici più violenti, la partitura scorre incolore altrove. Ottimi gli interpreti, in particolare il Claude disperato di Jean-Sèbastien Bou, lo spietato direttore di Jean-Philippe Lafont e Albin, il controtenore Rodrigo Ferreira. Ben saldo sul podio Jérèmie Rhorer, noto come puntiglioso interprete dell’opera pre-classica Il taglio drammatico dell’opera cattura senza dubbio rimane impari nel confronto, inevitabile, con Da una casa di morti di Janácek e anche con Il Prigioniero di Dallapiccola, in scena dal 29 marzo. Riuscitissimo nella sua semplicità lo spettacolo ideato da Alex Ollè con Valentina Carrasco per La Fura del Baus, sulla tenebrosa scena rotante di Alfons Florès. Ambientazione contemporanea, pochi elementi, porte, sedie e un cuscino, bastavano a evocare l’universo concentrazionario e il tormento del protagonista, un ottimo Lauri Vasar, lasciando alla forza drammatica della scrittura di Dallapiccola la definizione dei dettagli visivi, fino al rogo finale, accolto con allucinata rassegnazione dal prigioniero, mentre l’inquisitore torna a ripetere l’appellativo «fratello» , reso da Raymond Very con tutta l’atroce dolcezza richiesta dall’autore.

Le proiezioni di Emmanuel Carlier, molto suggestione ma didascaliche, trasformavano la scena nella coscienza turbata di rimorsi e incubi della protagonista di Erwartung, una fiammeggiante Magdalena Anna Hoffman (interprete anche della Madre nel Prigioniero). Kazushi Ono domina le due partiture con un rigore che non toglie però respiro alla musica, condividendo alla perfezione il taglio introspettivo e felicemente contemporaneo dei due spettacoli. Tutte le produzioni sono state accolte da gran successo, con un inatteso fuori programma nella serata inaugurale: una manifestazione di gruppi contrari alla legge sui matrimoni per persone dello stesso sesso, che ha lungamente assediato il teatro. Il festival continua fino al 15 aprile, la ricerca della giustizia continua senza sosta.