Nell’introdurre il bel volume collettaneo edito da Cronopio e intitolato Sulla danza (pp. 174, euro 14), il suo curatore Maurizio Zanardi, descrive l’ideazione di questa raccolta, nata nel 2010 in una Napoli invasa dai rifiuti, come l’esito inatteso della scintilla restituita da uno spettacolo di danza di Virgilio Sieni che, in quell’anomalo e infernale contesto urbano, produceva l’effetto straniante di un’autentica e ampia «liberazione dall’immondo».

QUELL’INTUIZIONE induce gli autori convocati a questo incontro a dare vita a «un libro per pensare gli atti della danza, per pensare con e grazie alla loro apparizione. Nessun primato, dunque, dei concetti sulle apparizioni, ma concetti per tentare di cogliere e favorire la natura, non senza storia, dei gesti danzanti». Questo è il tentativo di un libro audace, concepito «per aprire un campo ai pensieri provocati dalla danza», che fa del nesso tra pensiero e danza il proprio inconsueto territorio, l’altare di un cerimoniale in cui l’interpellazione di un pensiero sulla, per la e con la danza fornisce nuovo, interessante materiale ad una filosofia del danzare.
Nel saggio che apre la raccolta il filosofo francese Jean-Luc Nancy, da sempre animatore di un fitto dialogo tra il pensiero teoretico e le arti attraverso le loro molteplici manifestazioni, si cimenta nella dissezione della polisemia dei vocaboli derivati dal tedesco rüeren o ruoren (muovere, agitare, toccare, sollevazione) cogliendo l’intima affinità di essi con il termine «emozione» (da muovere, commuovere) che apre una fitta riflessione sul contatto, sulla separazione e sul tatto, cioè sul dentro/fuori che necessita a due corpi perché il muovere generi un toccare, il «tocco» inteso come «mozione ed emozione dell’altro», come un rüeren che si fa «godimento amoroso e sessuale».

MOLTE SONO le sfumature concettuali del bellissimo saggio di Romano Gasparotti, «Saggezza del danzare», in cui il filosofo-danzatore interroga con coerente radicalità il nesso tra le due attività messo a tema rovesciando, sino alle estreme conseguenze, l’affermazione di un genio della danza del Novecento, Vaslav Nijinsky, secondo cui «il danzatore è un filosofo che non pensa». Gasparotti dimostra, al termine della sua densissima disamina in cui incontriamo le filosofie di Plotino, Nancy, Merleau-Ponty, Bergson, Deleuze, Derrida, Andrea Emo e le idee di danzatori e studiosi di coreutica che discettano di volo e caduta, tempo e ritmo, musica, parola e silenzio, memoria e reminiscenza, corpi e ultracorpi, materia e forma, che «la danza si realizza nell’abisso dell’anoia, ovvero del non-pensiero quale potenza di ogni pensare».

Nuria Sala Grau, danzatrice, coreografa, docente di danza, formatasi in Europa, specializzatasi poi in India in Bharatanatyam, teatro-danza che si inspira al tantrismo e che professa il metodo agama, via che conduce dal corpo all’assoluto, che per lei rappresenta «una via di conoscenza del sé che ti libera da te stessa», consegna un saggio tutto incentrato su incontri e incroci, a partire da quello tra Occidente e Oriente, in cui ella intreccia il filo di una trama che tiene insieme spazio e tempo, corpo e immaterialità, danza indiana contemporanea e classica, gesto e movimento, perseguendo l’idea di un «recupero della trascendenza come possibilità etica» per gli esseri umani. Zanardi, invece, dedica il suo suggestivo «Dal regno dei morti» al nesso essenziale rinvenuto da Artaud tra danza e teatro che «fa dell’esistenza della danza una questione di vita o di morte», legame stabilito sullo sfondo di una visione non biologica della morte, che viene qui «assunta, voluta» da chi non si rassegna ad essere «un vivente morto», proprio in quanto concepita invece come un «morire all’ordine socio-simbolico, al mondo, a se stessi».

SU QUESTO TERRENO Artaud incontra prima Genet, che pure invita a «morire per esistere», e successivamente Badiou che, sulla scia di Nietzsche, legge nella danza la «metafora» del «pensiero come evento», pur situandosi invece sul versante opposto a quello di Artaud riguardo all’intima geometria che connette danza e teatro.
Nell’ultimo breve saggio il poeta, narratore e saggista Flavio Ermini si mette alla ricerca della «dimora del pensiero danzante», di quel luogo in cui la convivenza di «dire» e «gesto» abbraccia l’impossibile, rinvenendo miracolosamente il precario, instabile punto di equilibrio tra «assenza di peso» e «forza di gravità», tra antidiscorso e discorso, nello spazio abitato al contempo dal «dire poetico» e dal «gesto danzante».