Con il suo libro Sindacato, ambiente, sviluppo (Ediesse) Luigi Piccioni offre lo spunto per ripercorrere una vicenda tanto importante, quanto anomala nella storia delle aree naturali protette italiane. Con il sottotitolo «La Cgil Abruzzo, i parchi e le origini della riserva Monte Genzana-Alto Gizio», il libro racconta di come, dal 1979 al 1996, il maggior sindacato italiano, non solo si spese per la nascita di una piccola area protetta a Pettorano sul Gizio (AQ) nel cuore dell’appennino abruzzese, ma si fece promotore di un modello di sviluppo basato su un sistema di parchi e riserve.

La storia è fortemente legata a quella del Parco Nazionale d’Abruzzo che dal 1969 viveva un suo momento di rilancio grazie all’arrivo di Franco Tassi alla direzione e all’azione delle associazioni ambientaliste, in primis Italia Nostra e Wwf, oltre che di piccoli gruppi locali.

Una cultura ambientalista che, grazie a qualche sindacalista illuminato, fu fatta propria dalla Cgil a partire da quella locale che, proprio operando per la nascita della Riserva regionale del Monte Genzana-Alto Gizio, quale area satellite del Parco d’Abruzzo, avviò un percorso che portò la Cgil regionale a promuovere una campagna per un sistema di aree protette in tutto l’Abruzzo montano che nel giro di due mesi raccolse oltre 30.000 adesioni.

Si partiva dall’esperienza del Parco d’Abruzzo per sviluppare il modello di «Abruzzo, regione verde d’Europa» che nel giro di pochi lustri si affermò con tre parchi nazionali, un grande parco regionale, circa 30 riserve regionali e persino un’area marina protetta: il 30% di territorio protetto che voleva essere uno strumento di conservazione di una delle regioni a maggiore biodiversità d’Europa, ma anche un modello di sviluppo alternativo per l’Appennino centrale, zona marginale colpita da decenni di spopolamento.

È interessante ripercorrere, anche attraverso i tanti documenti riportati in appendice nel libro, anni di impegno, confronti e scontri. Vedere, ad esempio, come furono vinte le tante resistenze presenti anche all’interno del sindacato che nelle sue frange più tradizionaliste spesso è stato dalla parte sbagliata nelle grandi battaglie ambientaliste.

Questa volta, invece, si unirono due mondi che fino ad allora difficilmente avevano dialogato: quello ambientalista e scientifico, desideroso di conservare gli ultimi tasselli di naturalità rimasti promuovendo una green economy ancora da inventare, e il sindacato, capace in questa circostanza di guardare oltre l’interesse momentaneo e cercare nuove strade di crescita sociale.

Viene da chiedersi quanto del disegno iniziale si sia poi concretamente affermato.

L’Abruzzo è oggi una regione con un’alta percentuale di territorio protetto, tanto da aver fatto da apripista ad altre regioni. La presenza di aree protette ha sicuramente aiutato la conservazione di habitat e specie. Eppure, se il modello voleva essere qualcosa di più, se voleva affermare uno sviluppo alternativo capace di creare nuova occupazione (anzi un’occupazione nuova) proprio dalla conservazione degli ecosistemi, il bilancio non si può dire soddisfacente. Forse sono stati gli errori di una classe dirigente, anche quella dei parchi, a volte non all’altezza, o forse erano state troppe le speranze riposte, ma da questo punto di vista il cammino da fare rimane ancora molto.